Enrico Fermi il genio che sapeva lavorare insieme con gli altri

Enrico Fermi (Roma, 1901 – Chicago, 1954) è considerato, dopo Galileo Galilei, il più grande fisico italiano di ogni tempo. La sua figura mi ha sempre affascinato, pur non sapendo nulla di fisica, per varie ragioni. Per la breve durata della sua vita; per la sua capacità di essere un leader e di lavorare sempre in team, con scienziati italiani o stranieri; per il suo carattere allegro e gioioso che ha saputo fare del suo lavoro una sorta di hobby; per le sue fissazioni come quelle di interrompere il lavoro per il pranzo senza sgarrare mai e interrompendo qualsiasi operazione stesse compiendo, segno che le esigenze di vita, il pranzo, le vacanze, il riposo, le considerava sullo stesso piano del lavoro, anzi il lavoro non poteva svolgerlo bene se al contempo non garantiva al suo corpo il necessario sostentamento.
Nato a Roma da Alberto Fermi, ispettore capo presso il Ministero della Comunicazioni, e da Ida De Gattis, maestra elementare, ultimo di tre figli, Enrico mostra subito di possedere una grande attitudine per lo studio.
Nel 1918 ottiene la licenza liceale avendo saltato un anno.
Nel novembre del 1926 Orso Mario Corbino riesce nel suo intento di far assegnare a Enrico Fermi la cattedra di Fisica teorica presso l’Università di Roma. È la prima cattedra in fisica teorica assegnata in Italia e il suo titolare ha 25 anni.
L’intenzione di Fermi, che si dimostrerà anche un abile leader, condivisa da Corbino, è quella di creare un gruppo giovane, capace di competere con i migliori gruppi al mondo nel campo della “nuova fisica”, la meccanica quantistica che proprio in quegli anni si va consolidando. Negli anni successivi riesce a far venire a Roma il suo amico Franco Rasetti, ottimo fisico sperimentale, e a creare un gruppo di giovani di cui fanno parte Emilio Segré, Edoardo Amaldi, Ettore Majorana e, più tardi, Bruno Pontecorvo. Il gruppo è noto come quello dei “ragazzi di via Panisperna”, dal nome della strada dove si trovava l’Istituto di Fisica.
Tra il 1933 e il 1934 Enrico Fermi elabora la teoria del decadimento beta e dell’interazione debole, una nuova forza fondamentale della natura che si aggiunge alle due allora note: la gravità e l’elettromagnetismo. È il suo risultato teorico forse più importane.
In quegli stessi mesi Fermi comprende che il futuro della fisica è nello studio del nucleo e già nel 1934 è in grado di annunciare la scoperta della “radioattività artificiale mediante neutroni lenti”. In pratica, i “ragazzi di via Panisperna” (cui si è aggiunto momentaneamente il chimico Oscar D’Agostino), bombardano con neutroni rallentati da acqua o paraffina i nuclei degli atomi. La tecnica ha una straordinaria capacità di indurre trasmutazioni nucleari.

In ogni caso, grazie al lavoro del gruppo di via Panisperna, Roma diventa la capitale mondiale della fisica nucleare. Ma intanto il gruppo inizia a dissolversi perchè ciascuno segue propri percorsi accademici o professionali. Majorana poi scompare. Rasetti va in America, Pontecorvo in Francia. E mentre nel 1938 il governo fascista vara le leggi razziali, giunge a Enrico Fermi la notizia che gli è stato assegnato il premio Nobel.
Lui ha cercato di farsi finanziare un progetto per la costruzione di una macchina (l’acceleratore di particelle) ormai necessaria per continuare la ricerca di altissimo livello nella fisica nucleare. Ha parlato con Mussolini in persona. Ma non ha ottenuto granché. Inoltre la moglie, Laura Capon, è di origine ebree. Lui, Accademico d’Italia, non ha nulla da temere. Ma decide in ogni caso di andar via dall’Italia e di approfittare della premiazione per il Nobel a Stoccolma per recarsi in America.
Decisione coraggiosa, perché qui deve riaffermare la sua autorità scientifica. Non impiega molto: all’inizio del 1939, ricevuta notizia che Otto Hahn a Berlino ha ottenuto la fissione dell’atomo di uranio, dimostra che è possibile attivare una reazione nucleare a catena con una liberazione esplosiva di energia di molti ordini di grandezza superiore a quella di qualsiasi reazione chimica finora usata.
Siamo nel periodo che precede la Seconda guerra mondiale. Fermi e un gruppo di altri fisici fuggiti dall’Europa pensano che le potenze libere debbano dotarsi dell’arma nucleare come deterrente nel caso che la Germania nazista ne venga in possesso. L’evenienza è giudicata possibile, anche perché in Germania sono rimasti molti fisici in grado di raggiungere l’obiettivo.
Passeranno tre anni prima che negli Stati Uniti si avvii il progetto Manhattan per l’effettiva costruzione della bomba. Il progetto prevede due fasi: la dimostrazione che la reazione nucleare a catena può essere innescata e la realizzazione della bomba. La direzione della prima fase viene affidata alla direzione proprio di Enrico Fermi, che il 2 dicembre 1942 a Chicago verifica il funzionamento della “pila atomica”, una reazione nucleare a catena controllata.
Fermi entra anche nella seconda fase, andando subito dopo a Los Alamos e facendo parte del gruppo scientifico dirigente che mette a punto la bomba. Lavora insieme con molti altri scienziati ma il suo ruolo è quello di sovrintendere ai lavori di vari gruppi specialistici. Ogni gruppo cioè può rivolgersi a lui per avere un ausilio nel risolvere problemi. Il lavoro è intenso e nel 1945 viene portato a termine, come dimostra l’esplosione del Alamogordo a cui Fermi assiste in prima persona.
L’italiano fa parte anche della commissione a quattro (con Oppenheimer, Compton, Lawrence) chiamata a dare un parere sulla possibilità di utilizzare la bomba atomica contro il Giappone. La commissione, pur dichiarandosi incompetente, propende per il sì, se si tratta di salvare un milione di vite di soldati americani.
Dopo Hiroshima e Nagasaki, Enrico Fermi ritorna alla vita normale. Insegna a Chicago ottenendo altri importanti risultati scientifici. Tra l’altro è lui a consigliare a un gruppo di fisici italiani di dedicarsi alla realizzazione di un calcolatore elettronico.
Enrico Fermi muore nel 1954, a soli 53 anni, a causa di un tumore, probabilmente contratto durante la sue persistenti esposizione alle radiazioni. È stato uno dei pochi fisici in età contemporanea a eccellere sia come teorico che come sperimentale. Ha saputo crear scuole di grande valore. È stato un animatore del lavoro di gruppo, sia piccoli (come quello romano) sia molto grandi, come quello di Los Alamos.