Già Giuseppe Conte bombarda il Partito democratico, già il suo progressismo si brucia nella grottesca imitazione anarchica del «né un soldo né un soldato», roba da Ottocento non da stragi di Bucha e Mariupol. E contemporaneamente arde la landiniana evocazione tardo-operaista in un mondo senza operai alla rivolta sociale, con Massimo D’Alema al corteo a perorare l’asse Schlein-Conte, così da rimontare trent’anni dopo una macchinetta da guerra sotto il segno quanto mai ambiguo e pasticciato del mix tra pacifismo esterno e rivolta interna.
Esattamente il contrario di ciò che andrebbe fatto seguendo i binari classici della sinistra europea e italiana, cioè mobilitazione ideale e politica a fianco dei popoli oppressi (Ucraina), e battaglia politica progressiva democratica e unitaria a livello nazionale.
L’assalto a Elly Schlein (che non è chiaro se sia disposta a farsi assaltare) è evidente: i moschettieri Conte, D’Alema e in una certa misura più garbata e razionale Pier Luigi Bersani, con contorno di corifei di un paio di giornali e qualche talk, con la loro gagliardìa maschia tentano di dare la linea alla giovane segretaria di cui sfruttano l’energia e l’impatto d’immagine. Ma lei è incalzata anche da Landini, il Mélenchon italiano, che punta a guidare nei fatti il nuovo corso con una linea d’assalto in tutte le direzioni, compresa quella che guarda al Nazareno.
C’è invece Romano Prodi, esperto sulla sua pelle di manovre e manovrine, che non si stanca di ripetere che servono proposte serie di governo essendo peraltro convinto – come ha detto in privato a un importante esponente politico che ce lo ha riferito – che «lei non saprebbe governare».
E poi c’è l’avvocato un tempo “del popolo” che ha già strozzato nella culla l’intesa con il Pd, aggredendolo sulla politica estera. Eccitando certe anime belle di sinistra, Conte fa il puro contro la Commissione guidata da Ursula von der Leyen dipinta dal Fatto Quotidiano come una novella Spectre reazionaria, quando con ogni evidenza è l’antidoto ai nazisti e putiniani, e come tale bisognerebbe sentirla come propria, cioè il contrario di quello che dice Schlein.
Come dice Elisabetta Gualmini, che con Pina Picierno e pochi altri difende la bandiera occidentale nel gruppo parlamentare europeo del Pd pieno di gente strana, «paradossalmente una Commissione un po’ più debole rende il nostro impegno ancora più urgente e necessario» per evitare il peggio: qualunque uomo politico di ogni epoca lo capirebbe. Ed è infatti questa la posizione più responsabile che alla fine è prevalsa anche grazie all’impegno (per la verità molto condizionato da dinamiche spagnole) di Pedro Sanchez e di altri leader socialisti, democratici e liberali.
Dunque a sinistra lo scenario è segnato da una pesante iniziativa sottotraccia contro Elly Schlein per spostarla su posizioni più radicali che, per capirci, renderebbero indistinguibile il Pd dalla Alleanza Verdi Sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (per gli appassionati del genere, più Fratoianni che Bonelli), una deriva che incrocerebbe il populismo di Conte con tanti saluti alla vocazione di governo del Pd.
La leadership del Partito democratico non è in pericolo, ma è seriamente condizionabile, se non già ora condizionata, ed è questa la ragione, immaginiamo, per cui è sostanzialmente difesa dai riformisti interni ed esterni: perché dopo di lei ci sarebbe uno peggiore. E in tutto questo caos a sinistra, una Giorgia Meloni in difficoltà ringrazia sentitamente.