PAOLO GENTILONI “Mi dispiace dover deludere il vostro ottimismo proverbiale, ma siamo più o meno alla fine di un autunno terribile. Vedo l’inverarsi della profezia di dieci anni fa di Papa Francesco, la famosa guerra mondiale a pezzi, anche se poi molte delle guerre che abbiamo di fronte hanno punti di contatto e crisi in comune, e la Siria da questo punto di vista è uno scenario incredibile, da cui passano i fili di due conflitti simmetrici, quello in medio e vicino oriente e quello ai confini dell’Europa.
C’è attorno a noi un panorama di instabilità enorme, incredibile, e questo quadro di instabilità è reso ancora più precario dalla presenza di alcuni grandi paesi che si trovano in condizioni di non stabilità. Penso alla Francia, penso alla Germania. A tutto questo, poi, occorre aggiungere che nei grandi consessi internazionali si fatica a prendere decisioni in grado di cambiare le nostre vite, penso per esempio ai risultati deludenti, fallimentari direi, dell’ultima Cop sul clima che si è svolta a Baku. E in questo quadro di estrema fragilità l’arrivo di Trump rende l’autunno ancora più freddo.
Ma assieme alle incognite abbiamo anche delle certezze. La prima è che vi sarà una sfiducia da parte dell’America verso l’ordine multilaterale. La seconda certezza è che in questa gigantesca sfida tra autocrazie e democrazie vi sarà un sostegno inferiore dell’America, semplicemente perché nell’impostazione che ha Trump la difesa dei valori occidentali non è così centrale. All’orizzonte poi, vi è un altro rischio, che metterei tra le certezze, e che è quello delle scorribande dei giganti tecnologici, che lasciati agire in un mondo con meno regole non penso possano aiutare la democrazia a essere più solida rispetto a come lo è oggi. Nel caos in cui ci troviamo oggi, un’altra certezza c’è: in Europa è tempo delle scelte, per i paesi membri dell’Unione è tempo di scegliere come muoversi, restare immobili è pericoloso e non scegliere da che parte stare significa già aver fatto una scelta. E scegliere da che parte stare, oggi, scegliere cioè di stare dalla parte di chi vuole proteggersi dalle minacce esterne e non dalla parte di chi quelle minacce vuole renderle più concrete, più vicine, significa fare passi in avanti per avvicinarsi all’Europa, per provare a farla contare di più, per provare a farla essere più sovrana.
CLAUDIO CERASA Ci sta dicendo che Trump può fare bene all’Europa, che può compattarla, che può rafforzare il sentimento e lo spirito di solidarietà, che può permettere alle istituzioni europee di ricevere dai paesi membri maggiori poteri per essere più sovrana?
“E’ chiaro che l’avvento di Trump è un appello all’Europa, un richiamo all’Europa. Ed è chiaro che l’indebolirsi della leadership americana crea un vuoto che l’Europa può, se riesce, se vuole, se ha l’ambizione per farlo, in parte riempire. Quindi secondo me invece di vedere soltanto l’Europa così divisa, così fragile, bisogna vedere un po’ i due aspetti della questione. Da una parte è vero che l’Europa non è mai stata così fragile, con governi così deboli, dall’altra però è anche vero che non ha mai avuto uno spazio geopolitico più grande di adesso.
Quali sono battaglie che questo governo dovrebbe fare per dimostrare di non essere un pericolo per l’Europa, nella stagione di Trump, cosa che finora onestamente non è stato?
“Vede, io direi che oggi i veri patrioti sono gli europeisti, e i nuovi disfattisti, se vogliamo usare una terminologia del secolo scorso, sono gli antieuropeisti. Perché alla fine il piccolo protezionismo e il piccolo nazionalismo saranno travolti dal mondo dei prossimi anni, e per il sovranismo del piccolo mondo antico, mi spiace, ma non c’è spazio, neanche per sbaglio”.
I veri nemici della sovranità nazionale sono i sovranisti perché non proteggono l’interesse nazionale?
“E’ così. Io sono un orgoglioso patriota italiano. Ma sei un vero patriota se sei europeista. Perché la dimensione per difendere il nostro spazio e la nostra identità non può che essere la dimensione europea. Ora, questo deve ovviamente essere contestualizzato, secondo me, partendo dalla consapevolezza dei ritardi, dell’inadeguatezza, dei limiti dell’Europa. Perché se uno fa finta di non vedere tutto questo si sbaglia. Ma negli ultimi anni, a mio avviso, è cambiato tutto. E l’invasione russa dell’Ucraina ha messo a nudo i limiti degli antieuropeisti e la forza dei veri patrioti. E’ in questi anni che, se ci pensate, si è concluso un percorso, che io definirei il percorso della grande illusione, durato molto a lungo. La grande illusione europea, i famosi tre pilastri del gas russo, del commercio con la Cina e della sicurezza americana, l’illusione maturata nell’ultimo decennio del secolo scorso, una specie di seconda Belle Époque. In quel decennio è maturata l’illusione che l’Europa potesse avere un modello definito, facile, eterno: energia a buon mercato, commercio con la Cina illimitato, sicurezza assicurata dagli americani. Tutto questo, anche grazie a eventi straordinari capitati in quel periodo, come la caduta del Muro, la riunificazione tedesca, la nascita dell’euro, è andato avanti fino a pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina. C’è bisogno di dire che il progetto di Nord Stream 2, il famoso ulteriore gasdotto che si sarebbe dovuto realizzare per trasportare il gas proveniente dalla Russia in Europa occidentale, è stato annullato dai tedeschi solo due giorni prima dell’invasione dell’Ucraina? Per questo dico che la crisi ucraina è quella che ha concluso definitivamente questa illusione”.
Facciamo finta che il governo improvvisamente abbia chiara la portata di questa sfida. Quali dovrebbero essere le battaglie che il governo avrebbe il dovere di portare avanti per pesare di più e far pesare di più l’Europa rendendola meno vulnerabile alle minacce del trumpismo?
“La scommessa dovrebbe essere semplice anche se può apparire retorico: puntare su un’Europa come grande potenza geopolitica. Questo si traduce in tante cose, alcune sono più piccole, altre più grandi. Tra le più piccole, giusto per citare un tema che è abbastanza di attualità, c’è per esempio il fatto che l’Europa ha un’occasione importante di concludere un accordo commerciale con i paesi del Mercosur, con i paesi del Sudamerica, che porterebbe a creare un’area di quasi libero scambio di settecentocinquanta milioni di persone, e che sarebbe non solo un successo geopolitico enorme soprattutto nei confronti della Cina ma anche un’indicazione chiara sul futuro: ci si apre, non ci si chiude. E se l’Italia ha intenzione di far sua un’agenda diversa da quella dell’autolesionismo, dovrebbe evitare di pensarci due volte, su questo tema, e scommettere forte sull’apertura del mercato: siamo o non siamo una potenza esportatrice? Comportiamoci di conseguenza”.
L’Unione europea è favorevole, la Francia no, l’Italia nì. Servirebbe anche qui una svolta di pragmatismo: bisogna sperare che il governo ancora una volta sia incoerente rispetto al suo passato?
“Mi sembra un tema più spesso. Se si guarda al ruolo che l’Europa deve svolgere in termini di potenza, riuscire a ritagliarsi un ruolo fondamentale in un continente che ha radici culturali e linguistiche molto vicine all’Europa, evitando di dare maggiore spazio alla Cina anche in quel contesto, dovrebbe essere ovvio, scontato. Dopo di che se invece si sceglie di avere una visione protezionistica, e di conseguenza autolesionistica, e si sceglie di avere a cuore più le singole corporazioni che il famoso sistema paese, ne prenderemo atto. In ogni caso, se mi permette, questo è solo un tassello di un mosaico più grande. E il tassello ulteriore da mettere a fuoco quando si parla di Europa come potenza geopolitica riguarda ovviamente il tema della difesa. E badate bene: i dossier, per così dire, sono complementari. Ci si rafforza con il commercio, ci si protegge con la difesa. Ci si rafforza ampliando il mercato, ci si protegge investendo sull’industria della difesa. Dopo di che, suvvia, inutile girarci attorno: la vera prova di fuoco, per l’Europa, per tutti noi, è un’altra, ed è come si concluderà la guerra in Ucraina”.
Ci spieghi il bivio.
“Se la guerra si conclude male, avremo vent’anni almeno di minaccia alla stabilità dell’Europa, di vera minaccia alla nostra pace, e non capisco i molti sonnambuli che girano per l’Europa e che non capiscono questo punto. Perché il dato da considerare non è solo ciò che l’Ucraina rappresenta, cioè un paese sovrano, democratico, invaso, con violenza. Il dato da considerare è che i confini dell’Ucraina sono i confini delle nostre democrazie. E se finisce male in Ucraina, finisce male per tutti noi. E’ per questo che non mi stancherò mai di dire che l’Europa, dopo venticinque anni di chiacchiere sulla difesa europea, può fare un passo in avanti e quel passo in avanti è l’emissione di debito comune, di Eurobond per finanziare la difesa europea. Conosco le resistenze ma possiamo farlo, dobbiamo farlo.
Cosa vuol dire Gentiloni quando pensa all’opzione della guerra che potrebbe finire male?
“Lo scenario pericoloso a mio parere è uno scenario in cui l’invasore ha buoni argomenti per dire di aver avuto la meglio. Se la sostanza è una tregua purché sia, perché così finisce la guerra, e se la sostanza non è trovare un modo per dimostrare che chi ha invaso l’Ucraina è stato fermato e non può proseguire in queste azioni di aggressione, il rischio che episodi del genere si ripetano è notevole. Io ho pensato spesso in questi anni a come abbiamo reagito all’annessione della Crimea. Parliamo del 2014-2015, e onestamente, saranno gli storici a dirlo, può darsi che se noi grandi paesi europei – penso alla Germania, alla Francia, all’Italia – avessimo avuto una linea più risoluta nei confronti dell’annessione della Crimea, otto anni dopo un’invasione completa dell’Ucraina sarebbe stata meno probabile”.
L’Ucraina e la Siria non sono lì a dirci che i guai provocati dall’occidente si manifestano quando l’occidente arretra e non quando l’occidente avanza? Se l’occidente si immobilizza, negli scenari critici, si crea un vuoto. E se si crea un vuoto, qualcuno lo riempirà.
“Sì, non c’è dubbio. Se guardi la crisi siriana ti colpiscono mille cose, ma tra queste: uno, l’enorme ruolo di una media potenza come la Turchia; due, l’assenza completa degli Stati Uniti. Se guardi all’Ucraina, il fatto che il principale paese europeo fino a due giorni prima dell’invasione considerasse ancora attuale un progetto di collegamento con un gasdotto tra la Russia e il centro Europa attraverso il mare, il cui obiettivo era di scavalcare e tagliar fuori l’Ucraina medesima – lasciando poi perdere il fatto che una parte della classe dirigente tedesca era direttamente, personalmente coinvolta in questo progetto – questo ti dice tutto. Altro che sottovalutazione: è qualcosa di più. Ma anche in Italia negli anni in cui si preparava l’invasione dell’Ucraina troppe cose sono state ignorate. E lo stesso discorso si potrebbe fare ragionando sul tema del commercio con la Cina. Se sei troppo dipendente da uno stato di cui non puoi fidarti fino in fondo, qualcosa alla fine andrà storto, è inevitabile. Quindi, per tornare alla domanda, raccontare il contrario, cioè che i fatti ucraini nascono dall’espansionismo occidentale, è una barzelletta. Basta prendere sul serio quello che Putin ha sempre detto in questi anni e basta guardare la politica commerciale che pratica la Cina con la propria sovrapproduzione. Dopodiché, io non è che sono per un atteggiamento belligerante, ci mancherebbe, però a Bruxelles la consapevolezza sulla Cina è arrivata forse nel 2020/2021 e la consapevolezza sull’Ucraina è maturata nel corso degli ultimi anni. Molto tardi”.
Preoccupato che possa cambiare tutto anche in Italia?
“Non lo so. So che c’è una scelta da fare, che c’è un bivio nei prossimi mesi da considerare, perché ci saranno in Europa soggetti (a cominciare da Viktor Orbán) che si faranno portatori del verbo di Trump. E un paese come l’Italia deve scegliere. Nulla è scontato. Vedo che al Foglio vi piace l’idea che Meloni possa avere un ruolo da mediatrice, da tramite, anche con il mondo di Trump. Può darsi. Ma io, per esperienza, dico che è dura la vita dei tramiti in un contesto del genere. Perché se poi bisogna prendere delle posizioni e scegliere non c’è mediazione che tenga: o stai di qua o stai di là. E io penso che il governo italiano dovrà fare delle scelte, anche se nella coalizione di governo in Italia ci sono, come è ovvio e noto, posizioni diverse. Incrociamo le dita”. “I conti si faranno più avanti, con le politiche. La statistica occidentale dice che è molto probabile che chi sta al governo perda le elezioni. E chi sta all’opposizione ha una chance di vincere. Vale anche per l’Italia”.
Cosa c’è che non va nel Pd di oggi?
“ Sappiamo però, ed è inutile nascondersi, che trasformare questo insieme di forze di opposizione in una coalizione non è banale. Bisognerà lavorarci, senza essere autolesionisti. Al di là di questo, che certamente è un problema, il punto politico vero è avere una credibilità che in gran parte è ancora da costruire. E non solo per le differenze tra le diverse forze e i partiti che stanno all’opposizione.
E’ un tema che riguarda lo stesso Pd, che deve darsi un profilo più forte e più credibile in termini di alternativa di governo. E questo è un grande lavoro che si fa non tanto stilando un programma in senso compilativo perché altrimenti uno chiede a ChatGPT di farlo e il programma lo trova subito. Il punto è trovare un’identità, una visione, è essere alternativi mettendo in campo il coraggio che serve”.
Come si costruisce l’alternativa a una coalizione modello ChatGPT?
“Non ho ricette, bisogna mettersi d’accordo su alcune priorità e mettersi a discutere di alcuni nodi. Per esempio sui temi economico e sociali credo ci sia la necessità di mettere al centro una problematica che non sempre è centrale nelle opposizioni ed è quella che riguarda il livello degli stipendi e dei salari o il potere d’acquisto del ceto medio. E’ la priorità, assoluta”.
“Nel centrosinistra si tende ad avere un’agenda molto vasta che comprende tutti temi sacrosanti, come la lotta al precariato, ma alla fine avere un’agenda troppo vasta non ti permette di inquadrare alcuni ritardi specifici. Ho parlato dei salari, ma ci sarebbe anche un altro tema troppo spesso sottovalutato che riguarda un altro grande ritardo del nostro paese: l’occupazione femminile. Noi da mesi, e ho visto che lo ha fatto anche l’Economist, celebriamo giustamente i dati positivi sull’occupazione, salvo il fatto che sono positivi in tutta Europa”.
Gentiloni consiglierebbe a Elly Schlein di ripensarci sul referendum sul Jobs Act?
“Per carità, io non devo dare consigli a Schlein, non ne ha bisogno. Dico solo che bisognerebbe occuparsi dei problemi che abbiamo e di non crearci problemi che non ci sono. Rimettere in discussione il Jobs Act mi sembra lunare. Il problema principale in questo momento, dal punto di vista sociale, è dettato dal fatto che, anche a causa dell’inflazione, il potere d’acquisto degli stipendi e dei salari del ceto medio non è cresciuto negli ultimi quindici anni. La responsabilità di questa battaglia è sulle spalle di tutti. Del governo, naturalmente, ma anche dell’opposizione: servono battaglie mirate, obiettivi concreti, conoscenza dei problemi strutturali del paese. E le dico anche un altro tema che dovrebbe e potrebbe rientrare in questa categoria, in una delle grandi priorità che un centrosinistra con ambizione di governo dovrebbe coltivare: la sicurezza”.
Il tema, come sa, non esiste nell’agenda del Pd.
“Non esageriamo. Certo, si fa fatica a entrare in questa ottica, nell’ottica di considerare la difesa della sicurezza come un tema non solo di destra. Ma il percorso è facile. Dobbiamo solo convincerci di un fatto che in fondo è molto banale e cioè che la domanda di sicurezza viene innanzitutto dal nostro elettorato o dal nostro elettorato potenziale, perché la privatizzazione della sicurezza, nel senso che i ricchi si fanno proteggere da questa o quell’agenzia e tutti gli altri che possono si comprano una pistola, che è il modello americano della sicurezza e che è un modello anche teorizzato da parti della destra in Italia, è completamente ostile alle classi popolari, alle persone anziane, alle persone sole. E quindi un partito di sinistra, una coalizione di centrosinistra dovrebbe avere questo come principale orizzonte e dirlo con chiarezza: i veri garanti della sicurezza siamo noi”.
Si parla di concretezza, bene, ma per restare sul tema, sul tema della concretezza, non è forse il momento di dare il giusto peso al Movimento 5 stelle e iniziare a trattare quel partito come se fosse non il faro da seguire per ottenere successo ma un partitino da considerare in modo non diverso da come Romano Prodi considerava l’Udeur ai tempi dell’Unione?
“Penso che questo tema sia giusto lasciarlo decidere alle leadership politiche che ci sono oggi, non è un compito mio dire che peso debba avere o non avere, anzi penso che l’atteggiamento unitario che sta avendo Schlein non sia un atteggiamento negativo: potrebbe essere anche alla fine un atteggiamento positivo, almeno come metodo. Il problema è che ovviamente ci sono alcune scelte discriminanti, quelle di cui abbiamo chiacchierato fin qui, e che è difficile pensare che possano essere unitarie, almeno per il momento. Non possiamo essere unitari se si pensa che sia l’occidente a dover chiedere scusa a Putin. Forse non lo pensa nessuno, ma se qualcuno lo pensa, certo è faticoso essere unitari: no? Con un atteggiamento di quel genere è difficile costruire. Quindi per me nessuno deve avere uno spazio minore, in una coalizione, però le coalizioni non possono essere ambigue sulle scelte di fondo e in particolare sulla politica internazionale. A volte non si può mediare, bisogna solo scegliere e anche non scegliere a suo modo è una scelta”.
Su cos’è che Gentiloni promuove Meloni e su cosa invece la boccia?
La cosa straordinaria del nostro paese è che pur avendo cambiato decine di governi ha sempre avuto la forza e il coraggio di mantenere le stesse linee di fondo. E non è poco. Se guardiamo in giro nel nostro continente, tra i paesi europei, dalla Francia, alla Polonia, alla Spagna, nessuno ha avuto una continuità sulle questioni internazionali come l’Italia, ed è veramente una medaglia per il nostro paese nonostante l’alternarsi di governi. C’era molta preoccupazione che un governo di destra e una Meloni comunque estranea alle famiglie politiche europee tradizionali rompesse questa tradizione e penso che la presidente del Consiglio abbia fatto bene a conservare la tradizionale politica estera italiana”.
E la cosa per la quale invece ha un giudizio maggiormente negativo qual è?
“Quasi tutto il resto!”.
Quando si dice che in Italia c’è una svolta autoritaria, Gentiloni è d’accordo?
“Sono d’accordo con chi dice che l’antifascismo è sacro, ma non mi sembra lo strumento principale di lotta al governo. Credo che la sinistra e l’opposizione facciano benissimo a combattere il governo, a denunciarne i limiti e fanno bene anche, quando lo fanno, a riconoscere le cose che invece vanno verso una giusta direzione. Il problema di un’opposizione matura non è di trattare il governo con i guanti bianchi, ma di essere credibile come alternativa, e la credibilità non viene dal fatto che usi buone maniere nei confronti del governo. Dobbiamo essere concreti, autorevoli, credibili, ambiziosi: ma teneri no, non serve, è sbagliato”.
Infine, come ha ricordato di recente anche l’Ocse, è chiaro che la crescita in Italia, che è stata negli anni scorsi più alta della media europea, ultimamente invece si è di nuovo un po’ avvicinata alle parti più basse, e per questo penso che l’economia sia la prima battaglia su cui l’opposizione debba mostrare la sua non tenerezza”.
Il tema principale è la difficoltà dell’industria: la produzione industriale in Italia va male da ventuno mesi, e non va molto meglio che in Germania. Quindi il quadro è questo: le due grandi manifatture europee soffrono in parallelo. E ogni paese avrebbe il dovere di pensare a soluzioni concrete”.
Tra i tanti scioperi che vi sono in Italia, non se ne potrebbe aggiungere uno per chiedere al governo più coraggio su un tema tabù come la concorrenza?
La concorrenza è un territorio che la Commissione europea presidia abbastanza bene, in Italia è sempre stato faticoso: io ho avuto una breve esperienza di guida del governo, mi vanto tra alcune cose di aver adempiuto all’obbligo, che ci sarebbe, di fare ogni anno una legge sulla concorrenza e di fare una legge sulla concorrenza che alimenti la concorrenza non il contrario. L’ora delle grandi scelte, per l’Italia, non è solo sui temi legati a ciò che l’Europa dovrebbe fare per noi. E’ legata anche a un tema non meno importante: cosa l’Italia potrebbe cominciare a fare per aiutare se stessa, senza capri espiatori”.