Bruno Garofalo, storico scenografo di Eduardo e Luca, ha considerato “orrorifico” il Natale in casa Cupiello di Vincenzo Salemme. A me e’ piaciuto piu’ della versione di Sergio Castellitto. Ha scritto Marco Giusti: “Confesso che mi era piaciuta anche la versione di un paio d’anni fa diretta dal napoletanissimo Edoardo De Angelis e riscritta dal napoletanissimo Massimo Gaudioso, anche se posso capire che Sergio Castellitto che fa il napoletano potesse disturbare i veri napoletani“. Ma a me non era piaciuta proprio per quel che scrive Giusti: “Castellitto parlava come Padre Pio, Nennillo, che era poi il personaggio di Peppino, vera punta comica della commedia, era scomparso, e poi, errore massimo, non si poteva vedere che in pieno inverno, mentre nevica, per le strade di Napoli nel 1956 si vendesse l’acqua suffragna che è estiva?“.
Nennillo, che poi e’ il ruolo indimenticabile per tutti di Luca De Filippo, e’ il personaggio comico della commedia nella quale Eduardo continuava a mettere a fuoco il suo discorso sulla famiglia piccolo borghese napoletana. L’impasto che il piu’ grande drammaturgo italiano ha saputo fare del comico con il dramma e con il grottesco occupandosi delle nostre famiglie disfunzionali tra tradizione e modernita’ non puo’ riuscire a nessuno degli attuali comici napoletani. Solo, ma e’ un mio parere personale, Massimo Troisi se fosse vissuto sino a sessanta anni avrebbe potuto mettervi mano chissa’ come. In questi tempi dobbiamo accontentarci di Salemme, il quale con Eduardo ha lavorato e quindi sa di cosa si tratta, e che di suo ha una predilezione naturale per la farsa. Nella sua opera migliore, che resta E fuori nevica, e’ riuscito a comporre un quadro realistico di una famiglia composta da tre fratelli rimasti soli dopo la scomparsa della madre. Un’opera che rinnova la farsa (con relativi tormentoni) della tradizione napoletana con personaggi disturbati o fuori le righe nella nostra epoca piena di tic e nevrosi e smanie. Salemme in questo e’ bravissimo solo che con l’avanzare dell’eta’ sembra che gli sia preso lo schiribizzo di riempire le sue trame farsesche con discorsi su Napoli, i napoletani e la napoletanita’. Insomma, pur essendo consapevole di non essere un intellettuale come Eduardo e tanti scrittori e letterati napoletani, sente che la farsa potrebbe essere una tenaglia che lo stringe troppo. A cio’ si aggiunge la sua pretesa di giocare su due fronti, cinema e teatro, con la tv a unire i due campi, per costruirsi la figura di un attore-regista-autore completo. Se potessi consigliarlo gli direi di lasciar perdere e di accontentarsi di questa predisposizione naturale per gli elementi farseschi. Mario Martone puo’, essendo un intellettuale, come Toni Servillo, giocare tra cinema e teatro usando mezzi diversi per fare lo stesso discorso. Salemme dovrebbe secondo me scrivere per il teatro e farci ridere come gli riesce bene, lasciando che siano i registi a dirigerlo nei film. Insomma, in Italia, al contrario dell’America dove esiste una divisione del lavoro, per rivendicare una liberta’ creativa a tutto tondo ci sono attori che non si accontentano di far gli attori, o registi che per forza vogliono fare gli autori e gli sceneggiatori. Tutti vogliono essere Troisi o Zalone anche se uno e’ solo Siani o Pieraccioni o Panariello. Lo stesso rapporto tra Paolo Sorrentino e Servillo, che oggi e’ pacifico ma e’ cominciato con l’attore gia’ affermato che voleva sottomettere il regista giovane alla sua prima prova (L’uomo in piu’), dimostra quanto tutti intendono giocare non in un ruolo ma a tutto campo.
“A zupp ‘e latte! Se non me la portate dentro al letto non mi sòso”, non e’ una battuta che puo’ scrivere un attore o un regista ma solo un drammaturgo. In Inghilterra, nella patria di Shakespeare, lo sanno bene. In Italia, adesso addirittura con i social dove i battutisti si sprecano, tutti pensiamo di poter fare tutto. Dunque, Salemme diventera’ un Autore quanto Scarpetta e Eduardo? No, non lo sono diventati neppure Peppino o Luca anche se si chiamavano De Filippo. In musica ci sono stati i Beatles, i Rolling Stones e poi tanti altri gruppi che fanno musica di ogni genere. Ma i veramente grandi restano pochi.
Sull’operazione di Salemme e’ utile aggiungere qualche notizia importante. Originariamente concepita come atto unico, la commedia di Eduardo era stata scritta soprattutto per soddisfare i gusti di un pubblico semplice e senza pretese, qual era quello che era uso frequentare il teatro dell’avanspettacolo. E in tale veste il Natale fece il suo esordio nel Cinema-Teatro Kursāal di Napoli, il 25 dicembre del 1931. Eduardo nel 1936 così riepilogherà la genesi e lo sviluppo di quella sua prima commedia: «Questo mio lavoro è stato la fortuna della compagnia, dopo Sik-Sik, s’intende. Ebbe la sua prima rappresentazione al Kursāal di Napoli; allora non era che un atto unico, ed è tanto strana la sua storia che vale la pena di raccontarla. L’anno seguente, al Sannazaro, teatro della stessa città, scrissi il primo atto, e diventò due. Immaginate un autore che scrive prima il secondo atto e, a distanza di un anno, il primo. Due anni fa venne alla luce il terzo; parto trigemino con una gravidanza di quattro anni! Quest’ultimo non ebbi mai il coraggio di recitarlo a Napoli perché è pieno di amarezza dolorosa, ed è particolarmente commovente per me, che in realtà conobbi quella famiglia. Non si chiamava Cupiello, ma la conobbi».
Va poi ricordato che i tre atti della commedia furono composti – e rappresentati – tra il 1931-1934, in dialetto, quando il fascismo si era ormai saldamente insediato, trincerandosi dietro la propagandistica roboante triade di “Dio Patria Famiglia”.
Ebbene, se osservata dalla prospettiva eduardiana, la famiglia rappresentata nel Natale ci appare quanto meno come la “parente povera” di quella triade, minata com’era da talune crepe “strutturali” che ne evidenziavano, al di là di ogni retorica, la crisi di cui era vittima.
Una questione che ha diviso i critici riguarda il genere in cui ascrivere la commedia. Comico o drammatico? Qualcuno ha osservato che, dal punto di vista formale, la definizione di “tragi-comico” dovrebbe essere corretta con quella di ’“umoristico”, da interpretare, ben inteso, in senso pirandelliano. Tale “genere” infatti, fondato sul “sentimento del contrario”, è quello che maggiormente dispone lo spettatore tanto al riso quanto al pianto, così come per l’appunto accade seguendo le vicende della famiglia Cupiello.
Una ulteriore annotazione riguarda il finale. C’e’ una versione televisiva del 1962 in cui il dottore da’ a Ninuccia qualche speranza sull’evolversi dell’ictus del marito. Eduardo, in quegli anni, aveva espresso più di qualche perplessità sulla fine da riservare al protagonista della commedia, e ha osservato: «Luca muore e deve morire anche se suscita pietà. […] Egli è vittima per essersi prestato al gioco di illusioni infantili. Il presepe è una specie di droga […] che paralizza la fantasia e distoglie dalla realtà del vivere quotidiano. […]. Con un sorprendente ribaltamento ideologico, l’autore dice che Luca è colpevole perché non si dà conto della situazione precaria in cui si trova […] e che il suo presepe è il simbolo del popolo incosciente dei propri problemi. L’inversione di significato è ancora più marcata qui che in altri casi nella lunga vita di Eduardo».