Il Gattopardo il romanzo che non piaceva a nessuno

Non si tratta di nostalgia ma di una sorta di euforia a pensare che quasi settant’anni fa – non tantissimi in fondo – un libro poteva tenere un Paese in scacco. Ora sembra fantascienza ma quando è uscito Il Gattopardo – era il 1958 – non si parlava d’altro. Quel romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, uno sconosciuto aristocratico siciliano, morto un anno prima di vederlo pubblicato, era da comprare assolutamente, era l’argomento che faceva discutere politici e intellettuali su giornali, riviste, a cena la sera. Era un’Italia che dava un ruolo centrale alla politica culturale, in cui i partiti entravano nel merito e il Pci era la grande chiesa laica che dispensava suggerimenti e giudizi.

Ma è la storia intricata che porta alla pubblicazione per Feltrinelli di quel primo bestseller italiano del secondo dopoguerra, volato oltre le 250 mila copie dopo aver vinto il Premio Strega nel 1959, che è irresistibile. Per capire il fenomeno: è talmente vivace l’attenzione sul romanzo che la diretta Rai dello Strega nasce per seguire la serata che lo vede lanciato verso la vittoria. È la prima volta tra l’altro che vince un libro il cui autore non c’è più.

Ora quella trama fatta di coincidenze, incidenti, sliding doors, bivi, bocciature, condanne ideologiche, destini incrociati, nelle mani di Francesco Piccolo diventa uno spettacolo teatrale: Il Gattopardo. Una storia incredibile, un monologo nel quale lo scrittore ripercorre le vicende non solo del romanzo ma anche del film di Visconti, portando sul palco le questioni politiche e letterarie, gli scontri tra scrittori, e infine gli scontri tra registi. Il debutto sarà il 10 febbraio al Teatro Argentina di Roma, la prima di quattro date in giro per l’Italia che non è detto poi non diventino di più. L’idea di commissionarie a Piccolo uno spettacolo che celebra Il Gattopardo è di Feltrinelli e rientra, come apertura delle danze, nell’ambito dei festeggiamenti in programma nel 2025 per i 70 anni della casa editrice. Il prossimo anno sarà anche quello della serie Netflix. Perché chiederlo a Piccolo è facile da immaginare: sul Gattopardo, Tomasi di Lampedusa, Visconti e Fellini, e su quell’Italia spaccata tra cattolici e comunisti, Piccolo ha scritto un saggio appassionato: La bella confusione (Einaudi).

Tutto inizia poche settimane prima della mostra di Venezia, nel luglio del 1954, a San Pellegrino Terme, dove si tiene un convegno letterario sulla poesia che accoglie anche esordienti. Montale presenta per l’occasione un poeta siciliano sconosciuto, un tale Lucio Piccolo, barone di Calanovella, che si presenta accompagnato da suo cugino Tomasi, principe di Lampedusa. A stringergli la mano c’è Giorgio Bassani. Prima coincidenza pazzesca. In quel momento, nota Piccolo, «né Bassani né Tomasi possono sapere di essere legati a un destino comune». Qualche anno dopo sarà Bassani a scoprire Il Gattopardo, ma a San Pellegrino Terme la storia è ancora nella mente del suo autore. Proprio qui però per la prima volta Tomasi ha il coraggio di accennare al fatto che gli sarebbe piaciuto scrivere un libro. «È probabile – racconta Piccolo – che abbia iniziato a farlo subito dopo essere tornato da quel convegno».

La giostra dei rifiuti editoriali del Gattopardo è una delle avventure più straordinarie dell’editoria italiana. Una specie di caso di scuola per mostrare come a volte anche i grandi sbagliano. Nello specifico Elio Vittorini che per due volte rimanda al mittente il manoscritto: prima per Mondadori, poi per la collana Gettoni Einaudi. Questo secondo rifiuto arriva a Tomasi di Lampedusa pochi giorni prima della morte, il 23 luglio 1957, per un cancro ai polmoni. Quando riceve la lettera del rifiuto einaudiano, Tomasi è con la sua famiglia, la legge ad alta voce mentre sono a cena sulla veranda. In sostanza c’è scritto che la storia è antiquata, difficile da piazzare sul mercato. «Vittorini non dice che è un romanzo brutto ma che è vecchio, conservatore», continua Piccolo. Cosa per la sinistra di allora imperdonabile.

Che destino quello di Tomasi: morire senza sapere che il suo romanzo sarebbe stato un successo clamoroso. Negli ultimi giorni di vita lo scrittore scrive una lettera ai suoi familiari: «Desidero si faccia il possibile affinché venga pubblicato. Beninteso ciò non significa che esso debba essere pubblicato a spese dei miei eredi, considererei ciò come una grande umiliazione». Cioè: dovete fare in modo che questo libro sia pubblicato ma che lo pubblichi una casa editrice vera. Da questo momento i colpi di scena sono tanti. Entra in scena Elena Croce, che viene in possesso del manoscritto ma lo perde per poi ritrovarlo quasi per caso e da lì il Gattopardo passa per le mani di Marguerite Caetani e poi finalmente arriva a Giorgio Bassani che appena inizia a leggerlo rimane così stregato da chiamare subito Mario Soldati, chiedendogli di andare a casa sua. Piccolo racconta che i due «passano la notte a leggere insieme quel libro e capiscono subito che è un capolavoro nonostante non sappiano di chi sia, perché il manoscritto non porta la firma di nessuno». È a questo punto che grazie a Giangiacomo Feltrinelli si ha la svolta: «All’inizio in realtà anche Giangiacomo è piuttosto scettico, più incline a pensare il romanzo un po’ vecchiotto, ma sceglie di fidarsi di Bassani. Bisogna ricordare che tutto questo accadeva un anno dopo la pubblicazione del Dottor Živago».

Non è finita, il Gattopardo non trova pace. A partire dalla pubblicazione postuma nel 1958 il mondo intellettuale si scatena. Moravia lo ritiene un libro fascista, neanche a Sciascia piace. Piccolo è divertito a ricostruire i passaggi: «L’ostracismo della sinistra, che allora dominava la cultura, è forse la parte più bella e forte della storia. Un segno di grande vitalità ma in un certo senso anche spaventoso. Nel Pci tutti erano coinvolti: quando usciva un libro o un film tutti si sentivano chiamati in causa, volevano intervenire. Il partito metteva i suoi paletti, valutando che cosa rispecchiava o meno il pensiero della sinistra. E su questa linea aveva deciso che Il Gattopardo era da ostacolare, in quanto libro passatista». Nel 1963, quando esce il film con Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon, le polemiche ricominciano: «Visconti pensava all’inizio di realizzare un film più politico, invece alla fine il risultato è intimo». E la cosa delude la critica militante, nonostante il regista sia un intoccabile.

Nel 1959 era però avvenuto qualcosa di inaspettato: il critico marxista Louis Aragon aveva affermato che Il Gattopardo era «un bellissimo libro, uno dei più grandi romanzi di questo secolo, uno dei grandi romanzi di sempre, e forse il solo romanzo italiano». A quel punto Togliatti, che non poteva sconfessarlo, era stato costretto a una giravolta. Una delle tante, in questa storia straordinaria che racconta in fondo come eravamo.