Il Pd, dopo la sconfitta referendaria e le batoste elettorali, si trova in una difficile fase di transizione, senza un vero leader e con grandi difficoltà a trovarne un altro della stessa qualità politica del precedente. Non uno yes-man di Renzi, anzi uno che sappia tenergli testa, ma che corregga senza rovesciarlo il tentativo di trasformazione del partito e del Paese che il leader dimissionario aveva iniziato. Quasi certamente la vicinanza con i 5 Stelle, la cultura comunista e democristiana da cui provengono gran parte dei fautori interni di una alleanza, il possibile ritorno all’ovile dei transfughi della Leu, il mito della riconquista dei ceti popolari perduti, interromperebbero il processo che aveva portato il Pd ad abbracciare una visione di sinistra liberale, consapevole dei rischi ma anche delle opportunità di una economia aperta. E le voci a mala pena represse della tradizionale sinistra della spesa pubblica — non delle riforme che servirebbero a riavviare l’Italia su un percorso di sviluppo — acquisterebbero maggiore forza. (Corsera, 30/4/2018)