Perchè il festival di Sanremo ama il televoto e non vuole somigliare agli Oscar

Come al solito ha ragione il prof. Aldo Grasso quando tenta di spiegare il grande successo del Festival. “Merito di una formula che ha escluso appelli sociali, svolte sovraniste, tentazioni egemoni? Il fatto è che noi stiamo scivolando sempre di più nella rassegnazione, la vera vincitrice del Festival. Ci lamentiamo ma non chiediamo di più: basta che treni e canzoni siano in orario”.

Ma sotto questa spiegazione la rassegnazione io la vedo nella incapacità di questo paese di modernizzare qualsiasi cosa (l’amministrazione, la scuola, la sanità, il welfare) sconfiggendo le rendite parassitarie, anche quelle che sono facili da cambiare come l’organizzazione di un festival. Sanremo resta com’è perchè il sindaco di Sanremo ha lo stesso potere abnorme dei balneari e dei tassisti (come dei medici, notai, sindacati…). L’Italia non ama il mercato, e le lobby provano di continuo ad imbrigliarlo.

Prendiamo il Festival 2025. Il calabrese Brunori è stato in testa dalla prima sera sino all’ultima. Piace alle giurie, piace al pubblico. Poi nei minuti finali quando si riapre il televoto solo tra i primi cinque, dal primo posto Brunori retrocede al terzo. Molti che tentano di votare per lui non riescono. La Rai rassicura tutti, il sistema è andato in tilt per le troppe chiamate, ma tutti i voti sono stati conteggiati. Ma quel che è successo realmente non lo sapremo mai, resta il fatto che Brunori è stato superato col televoto sul filo di lana. In Italia dal 1951 ad oggi il Festival dimostra che ogni anno si cambia tutto per non cambiare niente. Si modificano il conduttore, il regolamento, la sigla, il numero dei cantanti, ma il festival si deve per forza svolgere in un angusto cinema privato adattato a teatro (dove 400 persone sono pigiate a lavorare nel retropalco) e pur sapendo che la gara avrà un vincitore finto ma poi il mercato decreterà quello vero. Come successe a Celentano, Vasco Rossi, Bobby Solo, Little Tony e decine di altri. Il televoto da casa si può manipolare, il voto delle giurie no, ecco perchè il televoto con la scusa che vota il popolo non si vuole abbandonare. Il televoto di Sanremo assomiglia alle votazioni dei cinquestelle, un altro esempio storico di pochi che con la scusa della democrazia diretta hanno fatto quel che hanno voluto.

Sarebbe necessario che il Festival della canzone italiana diventasse simile alla cerimonia degli Oscar e dunque premiasse belle canzoni già impostesi sul mercato l’anno precedente e dove nell’occasione i grandi interpreti (ma anche giovani promettenti) potessero presentare canzoni inedite. Per una iniziativa del genere che premiasse le canzoni italiane più belle e stimolasse a presentare gli inediti, occorre una location adeguata. Invece no.

Le epoche cambiano gusti e mode. Nessuno ricorda più che gli anni settanta furono caratterizzati da una forte crisi degli ascolti di Sanremo e da un fuggi fuggi dei grandi nomi. Era successo che i gusti musicali del pubblico (e in particolare di quello giovanile) erano cambiati, e non si rispecchiavano più nello “stile sanremese”. Inoltre, alcune tensioni fra il comitato organizzatore e le etichette discografiche indussero queste ultime a disertare. Anche la Rai ci mise del suo, e nel 1973 decise di non trasmettere lo spettacolo in diretta, causando polemiche a non finire e ben sette interrogazioni parlamentari a riguardo. La stampa era sempre meno presente. Anche il sistema di votazione, sempre più complesso, non soddisfaceva nessuno, e nel 1974 alcune giurie disseminate sul territorio nazionale diedero addirittura forfait.

Oggi che i giovani seguono di nuovo Sanremo ma soltanto perchè essi, al contrario di noi boomer, hanno un consumo soltanto domestico della musica, ovvero seguono Olly ma nessun gruppo o cantante straniero, tutti vogliono questo tipo di gara dove, non a caso, vince sempre ormai la manager Marta Donà col suo pupillo di giornata. E’ una gara che esclude i grandi, fatta per cariatidi in cerca di rilancio e per giovani forti nello streaming. Quindi un vero festival della canzone italiana che nel 2025 potrebbe svolgersi come gli Oscar in un grande palasport di qualsiasi città, a causa della resistenza convergente di varie rendite parassitarie, viene tenuto stretto in mano di poche persone, il sindaco di Sanremo, i dirigenti Rai, il conduttore/direttore artistico, per accontentare lobby varie (la Warner, la Sony, gli agenti) e consentire ad una Rai (ormai incapace di produrre se non attraverso appalti esterni) di mantenere il bottino di 50 milioni di pubblicità annuale da una sola manifestazione. Che poi tutti si inchinino a qualche mediocre ( Conti o Amadeus) come se essi avessero scoperto la pietra filosofale, fa parte del gioco.

La domanda insomma dalla quale si dovrebbe partire per modernizzare Sanremo è la seguente: come organizzare uno spettacolo dove possa partecipare Vasco Rossi e non vecchi come Massimo Ranieri, Marcella Bella e Giorgia?