Dice al Foglio Marco Tarquinio, già ruiniano direttore di Avvenire e ora europarlamentare “pacifista” del Pd (le virgolette stanno a significare che «pacifista» è un’autodefinizione, ma «putiniano» renderebbe forse meglio il concetto): «Da europeista convinto ho sempre detto che la guerra contraddice e distrugge l’Europa, ci mette ai margini della scena globale proprio in ciò che ci ha sempre caratterizzato, la capacità politica e diplomatica. Così siamo arrivati al paradosso: proprio nel momento in cui torna in campo l’opzione politico-diplomatica, l’Ue non viene invitata al tavolo». Come molti altri “pacifisti”, evidentemente, Tarquinio non vede nulla che non vada in un tavolo della pace sull’Ucraina senza l’Ucraina, dove il presunto mediatore, Trump, media con una sola parte in causa, Putin. Anzi, saluta un simile esito come il ritorno in campo dell’«opzione politico-diplomatica», arrivando persino a giudicare una sconfitta il fatto che l’Europa a quel tavolo non sia stata invitata. E poi si offende se lo chiamano putiniano.
La Cina è vicina
Chiunque abbia davvero a cuore la pace, non sia completamente scemo o semplicemente a libro paga dei russi, capisce benissimo come la più grave minaccia alla pace in Europa è rappresentata dal trionfo di Vladimir Putin in Ucraina. Sul New York Times, Nicholas Kristof segnala però che i pericoli maggiori vanno al di là dell’Europa: «Forse il peggiore incubo per le relazioni internazionali nei prossimi anni è una guerra tra Stati Uniti e Cina, che inizi nei pressi di Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale. Il presidente Joe Biden ha scoraggiato l’aggressione cinese collaborando a stretto contatto con gli alleati in Asia e rendendo evidente che la Russia stava pagando un prezzo elevato per la sua invasione dell’Ucraina. Se invece Trump lascia che la Russia vinca e logora anche i rapporti con i nostri alleati, allora è più probabile che la Cina intervenga a Taiwan».
È Conte la vera quinta colonna di Trump nel nostro paese
In questi ultimi anni non siamo stati in molti, a sinistra, a voler ricordare la natura del Movimento 5 stelle e della leadership di Giuseppe Conte, a rifiutare la ridicola teoria della sua evoluzione democratica e progressista (sua del movimento, ma anche sua di Conte), a ribadire la più semplice e ovvia verità dei fatti, e cioè che il grillismo è stato la versione italiana del trumpismo e delle forze pro Brexit. Un movimento nato e arrivato al successo, non per caso, da posizioni no euro, no vax e apertamente filoputiniane: esattamente il copione che sarebbe stato seguito dalla Lega di Matteo Salvini, che non se ne è mai discostato, e dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, fino a circa un anno prima di vincere le elezioni, perché è più furba di Salvini (ma in verità da quel copione non si sono mai discostati nemmeno i meloniani, come conferma ogni giorno la lettura della Verità). Le parole pronunciate ieri da Giuseppe Conte, nel merito, nel metodo e nel tempismo, con l’appoggio all’infame dichiarazione di Donald Trump contro Volodymyr Zelensky, non sono dunque che l’ultima conferma di una tragica e innegabile realtà. Tanto più evidente nel momento in cui tutto il mondo civile prendeva le distanze dal presidente americano (persino il suo ex vice Mike Pence).
Diversamente dal leader del Movimento 5 Stelle, la presidente del Consiglio, almeno, ieri ha avuto il buon gusto di tacere
Dopo che Trump ha diffuso sui suoi canali social una delirante invettiva contro il presidente ucraino, accusandolo tra l’altro di essere un «dittatore» e di essere lui ad aver cominciato e a voler continuare la guerra, Conte ha avuto il coraggio di dire che «Trump con ruvidezza smaschera tutta la propaganda bellicista dell’Occidente sull’Ucraina». Zelensky è un dittatore perché non organizza le elezioni sotto i bombardamenti, bombardamenti che Vladimir Putin continua a ordinare come se niente fosse, senza che questo gli costi nemmeno un rimbrotto, mentre in Russia i suoi oppositori finiscono in carcere o direttamente al cimitero, anche solo per avere esposto in piazza un foglio bianco. Ma è a Zelensky che Musk ha il coraggio di dire che non può «affermare di rappresentare la volontà del popolo ucraino se non ripristina la libertà di stampa e smette di annullare le elezioni». Raramente si è visto uno spettacolo più rivoltante, in cui la verità e la giustizia sono state più platealmente, intenzionalmente e sadicamente vilipese. La chiarezza delle posizioni, di conseguenza, è una necessità vitale.
Si facciano dunque due file: di qua tutti coloro che sono sinceramente indignati dalle manovre di Trump e pensano si debba fare tutto il possibile per contrastarlo; di là tutti coloro che intendono continuare a considerare Conte come uno statista e il suo partito come una rispettabile forza progressista. Ognuno, naturalmente, è libero di sostenere la posizione che preferisce, la prima o la seconda, ma non entrambe, per la contradizion che nol consente. Non si può prima gridare al pericolo rappresentato dal nuovo fascismo globale incarnato da Trump e Musk, con il loro aperto sostegno a neofascisti e neonazisti di tutta Europa, oltre che al regime putiniano, e poi mescolarsi con la loro principale quinta colonna italiana. Meloni, almeno, ieri ha avuto il buon gusto di tacere.