Elly Schlein ancora non parla di Donald Trump e della più clamorosa svolta nella politica internazionale dal 1989 a oggi. Giovedì prossimo si riunirà la Direzione del Partito democratico e lì, se non l’avrà fatto prima, sarà costretta a esporre la sua analisi sulle dirompenti novità in campo internazionale dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca, e in particolare sui piani di quest’ultimo sull’Ucraina e sulla sua offensiva contro l’Europa.
La segretaria del Partito democratico sin qui ha attaccato duramente Giorgia Meloni, ma si è tenuta alla larga dal prendere posizione persino sul vergognoso attacco personale di Trump, J.D Vance e Steve Bannon a Volodymyr Zelensky, il capo della Resistenza ucraina: un silenzio che ha generato molte critiche esterne e un notevole nervosismo all’interno del partito. In particolare ha evitato di commentare la sortita filotrumpiana di Giuseppe Conte, che ha riconosciuto al presidente americano il merito di lavorare per “la pace” facendo lo stesso discorso di Matteo Salvini (si è parlato infatti di un rinato asse gialloverde). Il Nazareno non ha ritenuto di dover dire la sua mentre contro il capo del Movimento 5 stelle si sono levate diverse voci critiche dell’area riformista, nonché di Romano Prodi.
Sul tavolo poi c’è la manifestazione “contro il governo” ma verosimilmente “contro le armi” che Conte vorrebbe fare il 5 aprile cui il Partito democratico in quanto tale non aderirà ma potrebbe inviare una delegazione guidata dalla leader. Ma manca ancora molto tempo ed è possibile che i leader cercheranno una mediazione sulla piattaforma.
All’opposto, Carlo Calenda (e anche Riccardo Magi) ha preso una posizione netta e chiesto ai dem di rompere con il Movimento 5 stelle dopo la posizione filotrumpiana di Conte. Invece ieri Matteo Renzi in un’intervista al Messaggero, è sostanzialmente passato sopra al trumpismo contiano, non credendo alla riedizione dell’asse gialloverde: «La politica estera non caratterizza più l’alleanza e il centrodestra lo dimostra. Ho sovente criticato Giuseppe Conte. Ma stavolta bisogna riconoscere che questa posizione è da sempre la loro posizione».
L’improvvisa morbidezza del leader di Italia Viva verso un uomo da lui sempre avversato è interpretabile come il tentativo di non spaccare il fronte delle opposizioni, che è poi la linea «testardamente unitaria» di Schlein. Renzi è infatti convinto, come la segretaria del Partito democratico, che per sfidare e battere una Giorgia Meloni in difficoltà per la non-politica economica («Facciamo una manifestazione contro il caro-bollette come propone Conte») e prigioniera delle sue contraddizioni – sta con Trump o con l’Europa? – occorra tenere le opposizioni unite. È dunque un Renzi inaspettatamente mediatore. Che il centrosinistra abbia trovato il suo “federatore”? «Io faccio politica – ricorda Renzi in queste ore – per battere Meloni». E il trumpismo che attacca la democrazia e svende l’Ucraina all’amico Vladimir Putin? E le ambiguità di Conte? A lui non sembra, tutto questo, un problema insormontabile.