L’ora più buia
Sull’Ucraina non c’è più spazio per le ambiguità italiane
C’è una triste simmetria tra l’ambigua posizione di Giorgia Meloni, emersa anche ieri dai suoi commenti assai scettici, per non dire di peggio, al termine del vertice di Londra, e la posizione di Elly Schlein, che aderisce alla manifestazione per l’Europa del 15 marzo, ma appena giovedì scorso, in direzione, dichiarava che sull’Ucraina il Pd non stava né con Trump né «con l’Europa per continuare la guerra». Utilizzava cioè contro l’Unione europea l’argomento principale della propaganda putiniana, lo stesso usato da Donald Trump e J.D. Vance contro Volodymyr Zelensky nel violento scontro nello studio ovale («Vuole continuare la guerra»).
Argomento fondato sul completo rovesciamento della verità e delle responsabilità tra chi aggredisce e chi tenta di difendersi.
È l’ambiguità della politica italiana, ultimo frutto del perverso equilibrio bipopulista, come si è visto a suo tempo con lo scandaloso voto al Parlamento europeo contro il permesso agli ucraini di usare le armi occidentali per colpire obiettivi in Russia, dove si trovano le basi da cui partono i missili contro il loro paese.
Un voto in cui destra e sinistra del nostro paese si sono largamente schierate contro, in dissenso dalle rispettive famiglie politiche europee. Un’eccezione italiana di cui dovremmo vergognarci tutti.
Se non altro, la brutalità della Casa bianca ha chiarito dove siano i nazisti e dove siano i valori della resistenza in questa storia
Ora però la violenza e la brutalità della nuova amministrazione americana hanno rimesso le cose in movimento. L’assalto trumpiano all’ordine internazionale costruito dopo la Seconda guerra mondiale, la rapidità e la spudoratezza con cui si è consumato il tradimento dell’Ucraina e il pieno allineamento degli Stati Uniti alle posizioni del regime di Vladimir Putin, se non altro, hanno fatto un po’ di chiarezza su dove stiano i nazisti e dove stiano i valori della resistenza e dell’antifascismo in questa storia. Dunque ben vengano tutte le manifestazioni a favore dell’Europa, purché non si rivelino anch’esse un modo di perpetuare, anziché abbandonare, le vecchie ambiguità. Quando Trump dice che gli americani non dovrebbero preoccuparsi della guerra in Ucraina, che dovrebbero preoccuparsene gli europei, perché per quanto riguarda gli americani c’è un «grande e bell’oceano» che li tiene a riparo da tutto, dimostra di essere perfettamente consapevole, lui per primo, che il vero problema è l’espansionismo russo, altro che accerchiamento della Nato, e che è ragionevolissimo pensare che Putin, se avrà successo, non si fermerà all’Ucraina, mettendo in pericolo tutti coloro che non hanno la fortuna di avere un oceano come barriera naturale. Dinanzi a questo pericolo, non è più accettabile la posizione di chi da un lato denuncia l’aggressività russa e il tradimento americano, ma dall’altro continua a schierarsi contro l’aumento delle spese militari e contro tutto ciò che sarà necessario fare per costruire una difesa europea. La situazione è troppo grave per perdere tempo con demagoghi, cialtroni e quaquaraquà. Dopo tutte le benemerite manifestazioni già fatte, come quelle organizzate da Azione ieri in varie città, e da fare, come quella del 15 marzo lanciata da Michele Serra su Repubblica, è forse venuto il momento di pensare a una manifestazione europea (come del resto aveva in qualche modo ipotizzato lo stesso Serra, sia pure senza crederci troppo) da organizzare nello stesso giorno in tutte le capitali dell’Unione, a difesa dell’Ucraina e dell’Europa. Nella speranza che il contatto con i più consapevoli socialisti, liberali e popolari europei dia finalmente una svegliata anche ai loro omologhi italiani.