Studio Ovile, gli indomabili pecoroni della “guerra per procura”

La prima volta che ho sentito dal vivo l’espressione “guerra per procura” ero in uno studio televisivo, ospite nel programma Piazzapulita su La7. La Russia aveva da poco invaso l’Ucraina e in Occidente c’era un solo Paese nel quale un ampio fronte di politici, giornalisti, analisti o sedicenti tali si affannava a sostenere che la responsabilità del conflitto fosse completamente rovesciata rispetto alle apparenze: noi, l’Italia, di terra bella uguale non ce n’è. Quella sera in tv avevo davanti uno storico, professore all’università di Torino, già sodale del Pdci di Armando Cossutta, l’ex capo della corrente sovietica del Partito comunista italiano, l’uomo che credette nell’Urss fino a un minuto primo della caduta del muro di Berlino e riprese a farlo con pari intensità un minuto dopo. Lo storico attacca a parlare e dice che rispetto alla guerra Putin ha una sola colpa, quella di essere caduto nel tranello che gli hanno teso gli Stati Uniti e i paesi Nato. In sostanza: ha abboccato alle provocazioni e gli si è chiusa la vena ma, al posto suo, a chi non? Putin è un boccalone, questo è ciò che al massimo gli si può rimproverare. Sostiene il prof, già all’epoca in ampia compagnia, che la guerra in Ucraina è appunto “per procura”. Di tutte le contestazioni mosse agli ucraini è la più infame: nega persino la dignità della loro resistenza, li declassa a burattini. Gli ucraini non combattono per sé stessi e la libertà, sono carne da cannone degli americani che li usano per destituire Putin o comunque per fiaccare i russi. Un’analisi che serve anche a mascherare il cinismo di cui è intessuta. Le stesse innegabili sofferenze del popolo ucraino non devono interferire con la geometrica potenza della Storia, maiuscolo, che le produce. L’Ucraina non può né deve resistere al suo destino: date a Putin ciò che è di Putin. Ci risparmieremo migliaia di morti e chiameremo tutto questo: pace.

Tra i più attivi denigratori della resistenza ucraina c’è un altro storico di formazione stalinista, ma molto amato da un pubblico che si considera democratico, famigerato per aver invitato gli italiani a non lasciarsi impressionare dalle storie “delle Irina che perdono il bambino”. Cultori della geopolitica come branca del materialismo storico, convinti che le letture idealistiche non abbiano alcuna cittadinanza nella comprensione profonda dei fatti (la famosa “complessità”), questi intellettuali hanno fornito la base alle peggiori flatulenze del dibattito pubblico sulla guerra in Ucraina. Qualche tempo dopo, non bastasse l’evidenza delle parole, spuntò un video nel quale sempre lo storico di quella sera in tv diceva: “Dovremmo tutti ringraziare Putin per quello che sta facendo”, seguiva applauso del pubblico di una festa Rifondazione comunista, buonanima. Aveva ragione chi deplorava l’inserimento del nome dello storico nelle liste dei filo-putiniani. L’espressione non era corretta: c’era un filo di troppo nella definizione. Sconfortante l’espediente retorico con cui quel genere di militante di sinistra respinge l’etichetta di putiniano: “Io per Putin? Figuriamoci se può piacermi Putin!”. Segue elenco di fattori che rendono Putin un benemerito oppositore dell’imperialismo yankee, cosicché il risultato è che ti spiegano perché Putin ha ragione, però se gli dai dei putiniani è maccartismo (da Joe McCarthy il senatore che negli anni Cinquanta perseguitava i comunisti statunitensi e li vedeva anche dove non c’erano).

Un po’ di tempo addietro un comico e imitatore, di buon successo fino a qualche anno fa, interruppe i frizzi del programma che tuttora conduce per mostrare su una cartina l’espansionismo dei Paesi Nato fin sotto il naso di Putin. Il comico suggeriva ai suoi telespettatori, un pubblico che anche in questo caso si autopercepisce di sinistra, una risposta chiara: voi, nei panni di questo Putin assediato e minacciato dalla Nato, che altro avreste fatto? Cosa se non entrare in Ucraina, ammazzare qualche centinaio di migliaia di ucraini e insediare a Kiev un governo di persone rispettose dei principi del buon vicinato? Putin boccalone. Da allora migliaia di gonzi usano sui social il fermo immagine di quella cartina come prova “scientifica” per sostenere che la responsabilità del conflitto non è di Mosca bensì dell’espansionismo Nato, trumpiani che non sono altro.

Qualche giorno dopo quel confronto a Piazzapulita lo storico che ringrazia Putin mi dedicò un articolo nel quale mi definiva “uno spezzacomizi”, citando Gramsci, sul giornale il cui direttore – uno dei più attivi propalatori della tesi della guerra per procura – aveva scritto il giorno prima dell’invasione russa: “Anche oggi l’invasione dell’Ucraina è rinviata causa bel tempo”. Il giorno prima. Cioè: lui la sera ha scritto nel suo articolo in prima pagina che l’invasione era una fake news “di fabbricazione americana”, testuale; la mattina dopo i suoi lettori si sono abbeverati al sapere del direttore; e prima di andare a letto i carri armati russi erano sulla via di Kiev. Roba da sotterrarsi per la vergogna per un paio di lustri. Invece il direttore è ogni sera in tv, generalmente a spiegare che lui ha previsto tutto dall’inizio a differenza del “partito unico” della guerra. Perché tra le curiosità del dibattito pubblico in Italia, di terra bella uguale non ce n’è, risalta questo fatto che a tutte le ore del palinsesto televisivo, e in più della metà dei quotidiani in edicola, per non parlare di siti “alternativi” e account personali, c’è un tizio che prende la parola per deplorare “il pensiero unico” sulla guerra in Ucraina. Non ho fatto nomi fin dall’inizio, anche se è facile la riconoscibilità di molte delle figure citate, perché il punto non è fare liste né dirimere questioni personali. Il punto è la salute del nostro dibattito pubblico, dove si coltiva il mercato della dietrologia più vieta, della cialtroneria spacciata per scomodo anticonformismo e coraggio intellettuale, dove un presunto analista tra i più attivi nella “controinformazione” l’altra sera era intervistato per dire che “nello Studio Ovale Zelensky è stato geniale, e Trump è caduto nel suo tranello”.

La vittoria di Trump avrebbe potuto dare facilmente ragione ai teorici della guerra per procura. Arriva un presidente Usa su una linea opposta al predecessore; dice che la guerra va chiusa subito; sostiene le stesse tesi dei nostri prof stalinisti (Trump non è certo comunista, forse solo un po’ italiano dentro). E dunque, se gli ucraini sono solo lo strumento di una guerra altrui, perché vogliono continuare a difendere l’indipendenza anche ora che i loro committenti gli chiedono di smettere? Perché Zelensky va alla Casa Bianca a perorare la causa di una Ucraina che non cede al sopruso se chi l’aveva ingaggiato gli chiede ora di rinunciare alla missione? Non ce lo dicono, se non provando a evocare l’idea che Zelensky sia un abusivo che non rappresenta il suo popolo. Cacciato lui, gli ucraini si acconceranno alla loro sorte. Zelensky, del resto, è stato qui rappresentato come un nazista guerrafondaio. È la tesi della propaganda russa, di cui l’Italia, terra bella uguale non ce n’è, è piena di megafoni. Non sempre inconsapevoli, anzi quasi mai.