Made in Italy/Il riarmo europeo, e il disarmante quadro politico italiano

Mentre il camorrista della Casa Bianca minaccia il placido Canada con progetti di annessione imperialista, intimidisce l’Europa imponendo tariffe senza senso, disconosce l’articolo 5 del Trattato Nato che ha garantito per decenni pace e prosperità agli Stati membri e sconfitto il comunismo, si mobilita a favore dei partiti nazisti d’Occidente, facilita i crimini di guerra del dittatore russo, estorce a un popolo da tre anni sotto le bombe lo sfruttamento delle sue risorse minerarie, dà il via libera alla Cina sull’annessione di Taiwan, progetta la gentrificazione di Gaza, trasforma la Casa Bianca in una concessionaria di automobili di proprietà del suo amico svalvolato, e in tutto questo fa pure crollare le borse di tutto il mondo, c’è anche un piccolo ma emblematico capitolo italiano di questa storia grottesca che non va sottovalutato.

L’Italia ha un governo sovranista composto di tre partiti: uno è un partito licenziatario del merchandising, t-shirt e altre fregnacce, del Cremlino; un altro è filo europeo, ma con un passato sul lettone di Putin e da frequentatore della sua dacia; e un terzo, quello che esprime la presidente Consiglio, che è stato putiniano e anti europeo fino al 2022, ma che da quando è al governo è rimasto l’unico argine italiano alla resa nei confronti di Mosca, nonostante il suo ambiente mediatico e culturale sia tutt’altro che distante dalla rivolta contro le élite globaliste e liberal-democratiche organizzata dal Cremlino e dai suoi vassalli.

Eppure, in un modo o nell’altro, Giorgia Meloni per ora resiste. Soffre di mal di pancia da quando Trump è tornato in pista, ma non è così ingenua e nemmeno teppista, al contrario dell’alleato di maggioranza meno brillante, da rinunciare del tutto alla rispettabilità internazionale e all’interesse nazionale italiano ed europeo. Meloni ha tentato, e tenterà ancora, di trovare una via mediana tra Bruxelles e Washington, ma la situazione è così seria da non permettere a nessuno giochi delle tre carte, soprattutto se in nessuna delle due capitali conta abbastanza da poter aspirare a un ruolo diverso da quello ininfluente di oggi.

L’opposizione al governo è probabilmente la peggior opposizione d’Europa.

C’è un partito anti europeo e filorusso, arrivato al potere con il progetto politico di uscire dalla Nato, dall’euro e di abbracciare le ragioni della Russia, che oggi non solo non vuole che l’Europa si difenda, ma che quando governava ha fatto sfilare l’esercito russo sulle strade del nostro paese, «dalla Russia con amore», mentre gli italiani erano rinchiusi in casa per la pandemia. Sugli «utili idioti», espressione di Lenin che li renderà fieri, raggruppati in Sinistra e Verdi, è umiliante anche solo parlarne.

L’involuzione di Matteo Renzi lascia senza parole: no alla von der Leyen, no al suo ReArmEu, no alla difesa della democrazia rumena contro il golpe ordito dai putiniani, indifferenza sulle iniziative di riscatto europeo di Emmanuel Macron e Keir Starmer, che in teoria sarebbero i suoi riferimenti politici internazionali, realismo politico su Trump e la sua banda di matti, e sottovalutazione dello smantellamento trumpiano della Nato. L’unico leader di partito che dice cose sensate è Carlo Calenda, ma nonostante il meritorio impegno profuso fin qui la sua forza è necessaria ma non ancora politicamente rilevante.

Ho tenuto alla fine il Partito democratico, perché il caso Schlein è quello più imbarazzante. Il Pd è stato il partito che dal momento dell’invasione russa dell’Ucraina ha tenuto dritta la barra del paese. Una volta eletta segretaria, con i voti dei non iscritti e contro la volontà degli iscritti al Pd, Elly Schlein formalmente ha mantenuto la linea dei predecessori a favore dell’Ucraina, salvo poi sabotarla con una serie di distinguo e dichiarazione dopo dichiarazione, emendamento dopo emendamento, voto dopo voto, fino alla débâcle di Strasburgo di ieri, quando il suo partito si è diviso in tre: da una parte quelli del No al piano di difesa europeo proposto da von der Leyen (che era la posizione di partenza di Schlein, e dei due indipendenti che ha eletto alle Europee nonostante odiassero il Pd anche più di lei); gli astenuti anche se sarebbe meglio chiamarli gli ignavi (che è la posizione cui è addivenuta Schlein per non farsi sfiduciare dai suoi stessi parlamentari); e infine i favorevoli alla difesa europea guidati da Pina Picierno, e sostenuti dai padri nobili del partito, da Romano Prodi a Paolo Gentiloni, da Walter Veltroni a Enrico Letta.

Una segretaria così palesemente sfiduciata dai suoi su una questione come la protezione dell’Europa e della società democratica dalle minacce rappresentate dall’imperialismo russo e dal gangsterismo di Trump, quindi su qualcosa di più importante dell’uso dei pronomi, ne trarrebbe le conclusioni, soprattutto dopo aver passato a giorni a minacciare di dimettersi se gli eurodeputati, tra cui il presidente del partito Stefano Bonaccini, non l’avessero seguita prima sul No e poi sull’astensione al piano di riarmo europeo.

In un mondo normale, gli adulti del Pd chiuderebbero l’assemblea d’istituto che si è impossessata del Partito democratico e chiederebbero a Pina Picierno di far uscire il partito dall’ambiguità morale e di rimetterlo in sintonia con la sinistra europea. In un mondo normale, la Presidente del Consiglio cercherebbe alternative al partito anti italiano di governo e dialogherebbe con le persone serie dell’opposizione per difendere l’interesse nazionale italiano.

Naturalmente non succederà niente di tutto ciò, anzi non cambierà proprio niente, né a sinistra né a destra, e continueremo ad avere un Partito democratico ai margini della famiglia socialista europea, e un governo per un terzo putiniano, per un terzo senza spina dorsale, e per un terzo, quello che conta, indeciso se continuare a proteggere l’Italia, l’Europa, la democrazia come ha fatto finora, o se cedere al richiamo della foresta autoritaria di Donald Trump, Elon Musk e Vladimir Putin.

In nessun altro paese esiste un quadro politico così disarmante, l’unico in Occidente capace di aggregare ciò che aggregabile non è, tipo la manifestazione in difesa dell’Europa trasformatasi in manifestazione ostile alla difesa dell’Europa, e allo stesso tempo incapace di mettere insieme quelli che la pensano allo stesso modo non sulla ricetta dell’amatriciana ma sulla questione più rilevante del nostro tempo.

Del resto siamo un popolo creativo, di innovatori anche di sistemi politici, di inimitabili esportatori di formule stravaganti di Made in Italy come quelle della nostra maggioranza e della nostra opposizione: non è certo un caso che quello cui adesso ambiscono i fanatici del Make America Great Again, e i loro amici del Make Russia Great Again, l’abbiamo già fatto prima noi.