Se l’obiettivo del vertice del Pd era di rabbonire il M5S sulla politica estera, l’operazione è fallita. Invece di placare la polemica «pacifista» del post-grillino Giuseppe Conte, la segretaria Elly Schlein l’ha nutrita. E ieri ha esposto il suo partito agli attacchi quasi irridenti dei presunti alleati nel campo delle opposizioni. L’astensione di mercoledì a Strasburgo sulla proposta di riarmo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, non ha solo spaccato a metà il Pd. Ha offerto l’immagine di una forza nel limbo, lontana da quella di un partito affidabile almeno su Europa e Nato; e distante perfino dal resto del socialismo continentale, schierato senza esitazioni a sostegno dell’Ucraina e del piano della Commissione. In modo un po’ surreale, ieri alcuni degli 11 astenuti del Pd hanno spiegato di averlo fatto «per non spaccare il partito»: come se non fosse avvenuto, con 10 voti favorevoli contro i loro. Ma è il segno di una dirigenza allo sbando.
E pensare che nei mesi scorsi si erano ascoltate lodi più o meno convinte allo «spirito unitario» dimostrato dalla maggiore formazione di opposizione; e su come questa strategia stesse svuotando progressivamente il serbatoio elettorale del M5S. Il voto di mercoledì a Strasburgo magari non capovolgerà la tendenza. Ma sottolinea una contraddizione crescente, subito sfruttata da un Movimento che naviga con abile opportunismo tra lodi «pacifiste» a Donald Trump e attacchi al «bellicismo» europeo.
Si tratta di un’operazione impostata da tempo. Solo che ora, l’approdo di Trump alla Casa Bianca le ha dato più evidenza. E le esitazioni della sinistra la stanno favorendo. È come se il postgrillismo che perde voti nelle urne, guadagnasse punti simbolici sull’onda di una sorta di populismo pacifista. E attirasse nella sua orbita pezzi di Pd, dell’estrema sinistra, del sindacato, di un mondo cattolico disorientato dal richiamo astratto alla pace; e pronto a benedire con i suoi vertici qualunque «piazza» che la invochi.
Così, la Russia resiste alla tregua di Ucraina e Usa. Da Mosca arrivano insulti al capo dello Stato, Sergio Mattarella, reo di avere additato le sue minacce nucleari. Ma la solidarietà non è unanime. Il M5S guarda altrove. Conte si rivolge al Pd con l’aria di chi vede non tanto un alleato ma un concorrente in crisi. E osserva: «Posso parlare della mia coerenza, non mi sento di fare considerazioni in casa altrui. Ma l’astensione è la cosa più incomprensibile». Sa che Schlein era per il no, come il M5S. Per questo, forse comincia davvero a pensare di poterla addomesticare, o destabilizzare.