I «fantasmi» di Elly (che però è inattaccabile) e quelle voci di scissione

Oggi in piazza Schlein userà il bagno di folla, i «forza Elly» e gli incitamenti a «tener duro», per scacciare quei fantasmi che vede nel Pd e che «mi vogliono far fuori». Chissà se davvero la leader democratica si «è melonizzata e vede spettri dappertutto», come ha scritto sul Foglio Carmelo Caruso. Di certo i fantasmi ritengono sia lei ad «avere un piano per sbatterci fuori», grazie anche allo statuto del partito che le assegna la maggioranza assoluta negli organismi dirigenti. E la drammatizzazione della rottura nel suo eurogruppo — dove la leader ha rischiato di finire in minoranza — sarebbe stata «solo un pretesto». Perché di fatto Elly è inattaccabile.

Questi fantasmi — che hanno le sagome di Prodi, Gentiloni, Guerini e un po’ meno di Franceschini — non potrebbero sabotare Schlein, non ne avrebbero la forza. Ma vogliono difendere l’ortodossia riformista del Pd, che s’incarna nel partito dei Socialisti e Democratici europei, deciso l’altro giorno a sostenere il progetto di von der Leyen per riammodernare la Difesa dell’Unione. I «dissidenti quindi non sono quanti di noi hanno votato a favore — accusa un europarlamentare dem — ma quanti si sono astenuti su mandato di Elly».

Perciò sottovoce si inizia a sentir parlare di scissione. Ed è vero che il Pd ne ha già subite quattro nella sua storia, «ma quelle — ricorda uno dei padri fondatori — avvennero per questioni di potere. Stavolta la rottura sarebbe sulla natura del partito, che Schlein vuole ridefinire a sua immagine: movimentista e presidenzialista». A fronte della mutazione genetica in atto, fonti autorevoli raccontano che Prodi si starebbe acconciando a «riaprire la tenda» con la quale si distanziò da Renzi. E per quanto al Professore venga attribuito «un lessico antico», la sua voce ha una forte influenza anche negli ambienti culturali: il gruppo Feltrinelli, per esempio, dopo aver sostenuto l’ascesa di Schlein, sarebbe «disorientato» dalle sue mosse. Al pari di altri gruppi editoriali filo-Pd.

D’altronde, spiega uno degli spettri, la segretaria è riuscita «in un sol colpo a rompere con la tradizione del Pd: cioè con il Pse in Europa e con il Quirinale in Italia». E in molti rammentano un passaggio del discorso di fine anno di Mattarella, quello sulla «crescita record della spesa in armamenti» che è stata «innescata dall’aggressione della Russia all’Ucraina» e che «costringe anche noi a provvedere alla nostra difesa»…

Il disagio si è rivelato spesso negli ultimi tempi nell’area riformista, tanto da spingere l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate Ruffini a uscire allo scoperto: e in quei giorni nel Palazzo, dove si parlava di un futuro partito di centro, circolò voce di un suo incontro con un’erede di Berlusconi.
Quando Gentiloni andò a trovare Franceschini nel suo nuovo garage attrezzato a studio, entrambi si dissero preoccupati per la piega nel Pd. Solo che l’ex commissario europeo, ribattezzato «Paolo il minimizzatore», ieri non ha minimizzato affatto e si è scagliato a modo suo contro la decisione di Schlein di non appoggiare il piano ReArm. Mentre l’ex leader che trent’anni fa nella Dc fa era chiamato «il giovane Trotsky» appare (sia chiaro, appare) rassegnato. E quando gli chiedono se non sia meglio puntare su un federatore e «far capire a Elly che rischia la fine di Bersani», lui per ora (sia chiaro, per ora) replica: «Ci sono i fascisti che governano».

Quanto a Guerini, ci vuole un’educazione democristiana per tenere la calma in certi frangenti, sapendo che alle prossime elezioni il centrosinistra si giocherà Palazzo Chigi e soprattutto il Quirinale. Zanda ritiene che l’unico modo per raddrizzare la situazione sia un congresso: «Non è importante se sarà straordinario o tematico, ma come si farà». Servirebbe cioè il coinvolgimento della base, fin dalle sezioni: solo così, su un tema dirimente come la politica estera, potrebbero emergere nuovi leader.
Perché oggi Schlein è inattaccabile e non ha motivo di temere fantasmi nel Pd. Magari fuori, dove c’è chi la esorta a fare epurazioni nel suo partito e la avvisa che l’alleanza «non può nascere sul riarmo». «È di Conte che deve preoccuparsi», dice un dirigente dem: «Lui era un fantasma e lei l’ha resuscitato».