Il modello sociale (di Maurizio Ferrera)

Pochi lo sanno, ma lo stato sociale europeo è figlio della guerra fredda. In un celebre discorso al Congresso del 1947, il presidente Harry Truman promise protezione militare e sostegno economico ai Paesi europei e li esortò a espandere i sistemi di sicurezza sociale. I leader sovietici e i partiti comunisti accusavano le democrazie capitaliste di non saper proteggere i cittadini dai rischi del mercato. Bisognava dimostrare il contrario, riducendo la povertà e migliorando le condizioni delle fasce deboli, quelle più esposte alla propaganda filo-sovietica. Per quattro decenni almeno, i «cannoni» di Washington fornirono protezione militare senza costi, in modo che il «burro» del welfare tenesse a bada le sirene del comunismo e garantisse la lealtà occidentale dei cittadini europei.

Dopo il crollo del muro di Berlino la competizione di sistema fra Est e Ovest si è esaurita e la dottrina Truman sul «contenimento» dei movimenti anti-occidentali è stata progressivamente superata. Nel frattempo, in Europa si è spezzato il circolo virtuoso tra welfare e crescita, anche sulla scia della globalizzazione. In alcuni Paesi (Italia in primis) l’espansione dello stato sociale ha prodotto giganteschi debiti pubblici, rendendo difficili le riforme.

Con l’arrivo di Trump, ci ritroviamo oggi fra l’incudine e il martello. Rischiamo di restare senza i cannoni americani, mentre il nostro burro diventa sempre più difficile da finanziare ed è per giunta sempre meno efficace nel combattere la povertà, attenuare le disuguaglianze, rispondere ai bisogni di giovani e donne e, non da ultimo, ammortizzare i costi sociali della transizione energetica.

Le sfide da affrontare sono enormi. Potremmo consolarci pensando che, rispetto al passato, non dobbiamo più temere per la lealtà dei cittadini. La Federazione russa non rappresenta certo un modello da imitare e le sue mire neo-imperiali costituiscono anzi una seria minaccia. Non c’è più il rischio di «fronti interni», di possibili intelligenze con il nemico. Ma è proprio così?

Un recente sondaggio dello European Council on Foreign Relations indica che in molti Paesi i cittadini che considerano la Russia come un avversario sono in realtà una minoranza (in Italia solo il 26%). Lo stesso vale per coloro che attribuiscono alla Russia la responsabilità della guerra (in Italia il 23%, la media europea è 39%). Per gli altri la colpa è anche dell’Ucraina. L’assistenza militare a questo Paese raccoglie un consenso minoritario (in Italia un risicato 13%, la media europea è 27%).

Da altre ricerche sappiamo che la prospettiva di operazioni militari difensive, che potrebbero comportare vittime, è largamente osteggiata, soprattutto nel nostro Paese (intorno al 70% di contrari). Larghi segmenti di popolazione si oppongono per principio all’uso delle armi come strumento di ultima istanza nella politica estera. Qualsiasi suggerimento di finanziare la difesa tramite risorse nazionali, eventualmente sacrificando qualche prestazione sociale, suscita infine diffusa contrarietà.

Come minimo, possiamo affermare che l’opinione pubblica è fortemente disorientata: fatica a individuare la minaccia esterna e a trarne le implicazioni in termini di decisioni collettive. Le campagne di disinformazione della Russia amplificano questo disorientamento, mentre i partiti della destra e della sinistra estrema hanno tutto l’interesse a politicizzare il tema della difesa e a cavalcare i timori sulla tenuta dello stato sociale. Sotto questo aspetto, Ursula von der Leyen ha commesso due errori gravi in termini di comunicazione politica. Intitolare il nuovo piano per la difesa ReArm Europe ha immediatamente allertato il fronte dei pacifisti, mentre la possibilità di finanziare nuove iniziative attingendo ai fondi di coesione sociale ha alimentato le paure dei cittadini e il tatticismo di alcuni partiti. In una lettera alla presidente della Commissione, i sindacati europei hanno confermato il proprio sostegno alla difesa comune, ma hanno anche insistito perché vengano confermati gli impegni presi da von der Leyen sul terreno della politica sociale.

Per quanto drammaticamente urgente, l’agenda della difesa comune deve essere conciliata con quelle relative alla transizione energetica «giusta», alla competitività inclusiva e alla modernizzazione della protezione sociale. Ci sono enormi problemi di risorse, di competenze, di assetti istituzionali. Non vanno però sottovalutati i vincoli politici, la necessità di rassicurare e coinvolgere l’opinione pubblica.

Per certi aspetti, abbiamo di nuovo a che fare con una questione di «contenimento», come ai tempi di Truman. I termini si sono però rovesciati. Trump non garantisce più la nostra protezione militare e sostiene per giunta le nuove sirene euroscettiche, identitarie e nazionaliste. L’Europa deve evitare che venga messa a repentaglio la propria sicurezza e al tempo stesso arginare la destabilizzazione di quel modello sociale che proprio gli Usa ci sollecitarono a costruire a partire dagli anni Cinquanta, per difendere mercato e democrazia.

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