Il nostro grande storico calabrese Lucio Villari appena scomparso diffidava della nota tesi crociana per cui chi studia il passato fa sempre necessariamente riferimento ai problemi che ha di fronte nella sua epoca. Senza dunque ritenere che la storia sia sempre in qualche modo contemporanea, non so se i nostri politici e i nostri pacifisti abbiano visto su La7 ieri sera un documentario sulla conferenza di Jalta (o Yalta), un vertice tenutosi dal 4 all’11 febbraio 1945 in Crimea, durante la seconda guerra mondiale, nel quale i capi politici dei tre principali Paesi Alleati presero alcune decisioni importanti sul proseguimento del conflitto e sull’assetto futuro dell’Europa. Avrebbero potuto apprendere – senza bisogno di studiare la storia sui libri – cose anche oggi rivelatrici sui sovietici, gli americani e gli inglesi. Stalin ragionava (più o meno) come oggi continua a ragionare Putin, Churchill così come gli inglesi di oggi non si faceva schiacciare da Roosevelt e dunque la prima cosa che uno impara dalla storia è che mai inglesi e americani hanno fatto fronte comune contro i russi. Insomma, quasi sempre i tre attori, che oggi sono Europa, Russia e Usa, perseguono interessi propri. In quella conferenza a Roosevelt come risultati interessava portare a casa l’Onu e il Giappone, a Churchill finire la guerra e ottenere influenza in Grecia, a Stalin, che però conosceva in anticipo le mosse degli altri due e aveva microspie disseminate per carpire qualsiasi loro sussurro, interessava costruirsi come poi fece quello che abbiamo chiamato l’impero sovietico nella guerra fredda. Ieri come oggi se con i russi non adoperi la fermezza, essi ne approfittano e non si fermano. Possono sottoscrivere qualsiasi pezzo di carta, in pratica se ne fregano. Con Roosevelt, pertanto, per Stalin fu più facile trattare che con Truman il quale si dimostrò più fermo e deciso.
Come oggi ingenuamente pensa un Salvini con Putin, anche Roosevelt (che poi morì due mesi dopo, il 12 aprile 1945) pensava che attraverso un suo rapporto personale con Stalin avrebbe ottenuto più facilmente i suoi obiettivi. In realtà dovette dar ragione a chi lo consigliava di parlargli sempre con Churchill al suo fianco perchè i sovietici hanno in testa, anche se sono alla frutta e il loro popolo soffre la fame, sempre e soltanto l’idea di essere un impero e vicino a loro vogliono sempre non amici ma sottomessi. Poi possono pure sottoscrivere un patto dove si dice che in quel paese, per es. la Polonia, si debbono svolgere libere elezioni, ma nei fatti le elezioni in presenza di migliaia di soldati sovietici libere non sono. Gli americani dal canto loro, una volta scomparso un Roosevelt che credeva davvero di contribuire a costruire un mondo di pace, si fanno sempre gli affari loro e, lo dimostra anche Truman, il suo successore, un semplice rivenditore di cravatte diventato presidente per caso: appena fanno la bomba atomica non esitano a usarla in Giappone, anche perchè Stalin (che stava preparando la sua) li mette alla prova e gli dice: se ce l’hai perchè non la usi contro i giapponesi? Insomma, anche un semplice ripasso della conferenza di Jalta servirebbe a capire con chi storicamente l’Europa ha a che fare. Americani e russi perseguono i loro fini imperiali per cui i rapporti personali con Trump e Putin non servono a nulla, in pratica non servono a portare a casa niente.
In Italia invece abbiamo Salvini l’amico di Putin, Meloni l’amica di Trump, Giuseppi amico di tutti e due, e Schlein Fratoianni e Bonelli che sono scappati di casa senza amici e isolati da tutti. Basta dire che in queste stesse ore il parlamento tedesco si appresta a votare la riforma che rimuoverà dalla Costituzione il «freno al debito», pilastro dell’austerità, per consentire al prossimo governo di investire adeguatamente nella difesa, riforma che passerà grazie al voto decisivo dei Verdi. Ve lo immaginate come sarebbe andata qui, in una situazione analoga, con Angelo Bonelli? Del resto già nel parlamento di Strasburgo i verdi italiani si sono distinti, con il loro no al piano presentato da Ursula von der Leyen, dai verdi europei, che lo hanno invece appoggiato, proprio come il Pd ha fatto con il Pse. Schlein, come succedeva con il Pci, gioca nel suo giardinetto, non sta con i socialisti europei, non sta con von der Leyen, non sta con i laburisti inglesi o i democratici americani. Sta tutto in quell’orrenda affermazione, scandita da Schlein in una recente direzione, in cui aveva detto di non stare né con Trump e il suo «finto pacifismo» né «con l’Europa per continuare la guerra». Una posizione perfettamente sovrapponibile a quella del Movimento 5 stelle e Alleanza Verdi-Sinistra, al di là dei distinguo ipocriti e benaltristi su un’astratta difesa comune cui ci si dichiara favorevoli solo per camuffare la propria opposizione alla difesa europea che c’è, o che quanto meno si sta faticosamente cercando di costruire. Forse pensano che l’Italia possa diventare un’altra Svizzera, e invece delle banche agli altri noi offriamo pizza e mandolini. C’è nostalgia della Guerra Fredda e delle sue tutele, unita oggi a un desiderio di sostanziale neutralità. Vogliamo essere una Svizzera del 21esimo secolo, aperta a tutti e impegnata con nessuno? Meloni e Schlein vogliono un Italexit? Come ha scritto Federico Fubini, il desiderio diffuso nel Paese di chiudersi in un piccolo mondo antico si respirava tanto alla manifestazione «per l’Europa» di piazza del Popolo a Roma, quanto nel tentativo di Meloni di organizzare un vertice euro-americano: forse si farà – chissà – ma la rottura fra le due sponde ormai resta strutturale.