Nel pd esistono visioni ormai incompatibili

Il congresso del Pd inizierà la settimana prossima in Europa mentre in Italia lo ha convocato Conte in Parlamento e nelle piazze. Dopo il voto sul piano di riarmo europeo che aveva spaccato i democratici a Strasburgo, Schlein aveva annunciato una verifica nel partito e persino ventilato un congresso straordinario, preludio minaccioso di un regolamento di conti interno.

Visto che le settimane passavano e non accadeva nulla, ci ha pensato il capo di M5S a sostituirsi alla leader dem. E dopo aver presentato una mozione «pacifista» alle Camere, si è scatenato — con un po’ di travaglio — un vero e proprio parapiglia in casa altrui, con tanto di lista di proscrizione contro i «bellicisti» del Pd. Alla quale hanno aderito anche pezzi del Pd.

Conte avrebbe però potuto evitare di mettere in mostra le sua abilità di guastatore. Bastava attendere. Perché fra una settimana a Strasburgo l’Europarlamento sarà chiamato a votare il bilancio della Difesa per il 2026, dov’è citato il piano von der Leyen. E nella plenaria successiva verrà esaminato il regolamento per l’acquisto congiunto di materiale bellico tra Paesi dell’Unione. Tutti passaggi che rischiano di ricreare nella delegazione democrat le stesse dinamiche di un mese fa sul progetto di riarmo. E questi pronunciamenti saranno solo i primi di una lunga serie su temi legati alla Difesa.

Insomma, se le assise del Pd non si faranno in Italia, si svolgeranno certamente in Europa. E ogni votazione a Strasburgo sarà come una mozione, per quanto non voluta ma subita. «Sarà il primo caso nella storia politica di un congresso a rate», commenta l’ex capogruppo Zanda: «Sarebbe stato preferibile si tenesse in un’unica soluzione». In quel caso però il dibattito interno si sarebbe trasformato gioco forza in un confronto sulla natura del partito e avrebbe evidenziato visioni non più componibili. Perché se è vero quanto dice un ex ministro dem, e cioè che «ormai tra di noi sulla politica estera siamo alla lotta nel fango», sarebbe emersa la crisi strutturale e senza soluzione del partito.

D’altronde è ormai evidente la separazione: da una parte c’è la linea movimentista di Schlein, della quale i suoi oppositori interni ricordano «la provenienza da Occupy Pd»; dall’altra c’è «quanto resta delle correnti dal passato democristiano», come i fan della segretaria dicono quando parlano dell’area riformista. E allora meglio evitare il congresso e anche la verifica. Come spiega il presidente del Copasir Guerini «il confronto si svilupperà sul merito, nei voti in Parlamento: quello italiano e quello europeo, ricercando una convergenza». Se non fosse che a Roma Schlein ha una forte presa sui gruppi di Camera e Senato, perché tocca a lei a decidere le liste elettorali. Mentre chi è arrivato a Strasburgo l’ha fatto conquistandosi le preferenze. Perciò ha maggiore autonomia.

E si vede. La vicepresidente dell’Europarlamento Picierno non smette infatti di ricordare «la drammatica e inedita situazione nella quale ci troviamo dopo l’aggressione russa all’Ucraina». E c’è un motivo se l’esponente dem cita le «parole chiare di Mattarella che richiama alle responsabilità e all’urgenza di costruire un adeguato sistema di Difesa dell’Unione, come peraltro riconoscono da tempo le più importanti famiglie politiche europee». Più il capo dello Stato interviene per spronare ad assumere decisioni «non più rinviabili» legate alla «logica militare», più si approfondisce il fossato che separa Schlein dal Colle. E anche dai Socialisti in Europa, visto che il premier spagnolo Sánchez si era «innervosito» — come riferiscono fonti autorevoli — quando la segretaria dem gli aveva chiesto di modificare la posizione sul piano di riarmo. E dopo il risultato era stato fatto notare che «il Pd ha votato in dissenso dal gruppo».

Niente verifica e niente congresso per i democrat. Oltre ai voti di Strasburgo, sarà Conte a lavorare per dividerli.