La riforma è in discussione da almeno tre mesi e ora è pronta: se approvata, i nuovi medici di famiglia diventeranno dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Il documento deve ottenere il via libera dalla Commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni, per poi approdare sul tavolo del ministro Orazio Schillaci. Per comprendere cosa potrebbe accadere in futuro, e le ragioni per cui oggi stiamo ancora a discutere su come rafforzare l’assistenza sul territorio, è necessario guardare al passato: da anni la Fimmg, il principale sindacato dei medici di famiglia, blocca ogni tentativo di cambiamento invitando i cittadini a fare muro. Ma perché?
Manifesti e slogan
È il 13 settembre 2012, al governo c’è Mario Monti e per garantire la presenza di un medico di famiglia ogni giorno dalle 8 alle 20, il decreto Balduzzi introduce le Aggregazioni funzionali territoriali (Aft). Il decreto prevede che gruppi di dottori lavorino in squadra per assistere fino a un massimo di 30.000 abitanti, secondo modelli definiti dalle Regioni. In questo modo, se il proprio medico di fiducia non è disponibile, il paziente può rivolgersi a un altro collega del gruppo che ha accesso alla cartella clinica. L’obiettivo è anche quello di alleggerire i Pronto soccorso, dove ancora oggi un accesso su tre di codici bianchi e verdi è considerato inappropriato proprio perché evitabile consultando il proprio medico. La questione non è semplice: i medici di famiglia sono liberi professionisti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale e, per rendere operativo questo sistema, è necessario modificare gli Accordi collettivi nazionali (Acn). Il Comitato di settore Regioni-Sanità, che nella Conferenza Stato-Regioni cura la contrattazione, il 12 febbraio 2014 stabilisce che i nuovi accordi devono indicare chiaramente l’obbligo per i medici di aderire al nuovo modello e al sistema informatico che lo sostiene.
L’11 aprile 2014 partono le trattative per il rinnovo dell’Acn con la Struttura interregionale sanitari convenzionati (Sisac), che rappresenta la parte pubblica. Il sindacato Fimmg invita subito i colleghi a esporre nelle sale d’attesa un volantino: «Sono cominciate le trattative per cambiare l’organizzazione della medicina generale per i prossimi 20 anni. Ci tieni a conservare il diritto di scegliere il tuo medico di famiglia? La Conferenza delle Regioni vuole limitarlo, potresti avere una sorpresa». La Sisac tiene duro: gli orari della medicina generale vanno riorganizzati per garantire una reale continuità assistenziale. Il medico di famiglia deve operare secondo le modalità stabilite dall’Asl o dal distretto, sia nell’organizzazione del lavoro sia nell’attività assistenziale. La Fimmg rivendica invece un sistema di autogoverno e proclama lo stato di agitazione della categoria: «Il medico di medicina generale si qualifica come professionista autonomo ai fini dello svolgimento dei compiti e delle attività». L’accordo non arriva e il 26 marzo 2015 la Fimmg alza il tiro. La minaccia è di fare scattare 15 giorni di protesta durissima, proclamare uno sciopero e tappezzare le città di manifesti. Lo slogan: «Io non vado con il primo che capita. Il mio medico lo scelgo io». Si va avanti così per anni, con trattative che riprendono e saltano, minacce, altre trattative, nuove rotture (su Corriere.it tutti gli step della protesta).
10 anni di trattative: nulla di fatto
L’Accordo collettivo nazionale 2016-2018 viene firmato solo il 20 gennaio 2022, dieci anni dopo la legge Balduzzi, e le Aggregazioni territoriali, pensate per far lavorare i medici in squadra e garantire un’assistenza continuativa, di fatto restano una scatola vuota. La Fimmg esulta: «Sono confermate la libera professione convenzionata, la scelta fiduciaria e l’autonoma organizzazione».
Vediamo cosa vuole dire «organizzazione autonoma». 1) Il medico di famiglia può decidere di non vaccinare contro l’influenza, di farlo solo se è il suo paziente a chiederlo, oppure di chiamarlo e invitarlo a vaccinarsi (chiamata attiva). Le differenze in termini di copertura vaccinale sono enormi, e lo dimostrano i dati dell’Ats di Milano. Ogni medico di famiglia dovrebbe vaccinare gli over 65 che ha in carico, vale a dire circa 400 pazienti. A questo obiettivo si avvicina solo il 7% dei dottori che effettua chiamate attive, il 57% vaccina mediamente (da 101 a 299 pazienti), il 18% ne vaccina meno di 100, e il 18% quasi nessuno. 2) Il medico di famiglia può scegliere di lavorare da solo o in gruppo. È il motivo per cui ancora oggi ci sono differenze enormi nella gestione dell’assistenza, con una percentuale di medici in associazione che va dal 29% in Calabria all’84% in Friuli-Venezia Giulia. 3) Durante la pandemia il medico di famiglia ha potuto rifiutarsi di eseguire i tamponi. 4) Le visite possono essere prevalentemente su appuntamento.
La lezione del Covid
I limiti della medicina del territorio esplodono all’arrivo della pandemia. Le Regioni sono costrette a prendere atto del fallimento: «I contratti collettivi nazionali non sono idonei ad affrontare il cambiamento in atto, anche pensando (…) alla gestione delle multi-cronicità, aumento delle fragilità, programmazione dell’assistenza domiciliare». Per offrire assistenza ai cittadini tutti i giorni, dalle 8 alle 20, nascono le Case della Comunità, strutture pubbliche da costruire entro il 2026 attrezzate di punto prelievi, macchinari diagnostici per gli esami e un team multidisciplinare. Per funzionare, però, ci devono lavorare i medici di famiglia.
Il fallimento di Speranza
Nel luglio 2022 il ministro della Salute Roberto Speranza tenta un cambiamento per garantire, seppur con un rapporto di para-subordinazione, 38 ore di lavoro settimanali: 20 nei propri studi e 18 nelle Case della Comunità. Ma le nuove disposizioni, messe nero su bianco poco prima della crisi del governo Draghi, restano chiuse in un cassetto. Infatti gli accordi attuali garantiscono dalle 5 alle 15 ore negli studi, a seconda del numero di pazienti, e 6 nelle Case della Comunità.
Di nuovo proteste
Ora le Regioni stanno lavorando alla riforma epocale: i nuovi medici di famiglia diventeranno dipendenti del Ssn e lavoreranno un po’ nei loro studi un po’ nelle Case della Comunità, senza compromettere alcun rapporto di fiducia con il paziente, mentre i medici già in servizio continueranno se lo vorranno a restare lavoratori autonomi. Riparte la protesta e scatta una mobilitazione ancora più bugiarda e capillare di dieci anni fa. Locandine appese negli studi: «Vogliamo che tu abbia sempre il tuo medico vicino a te». Raccolta firme inviando a casa dei pazienti email dal titolo: «Proteggi il tuo medico di famiglia». Convocazione dei sindaci: «Vediamoci il 2 aprile, se diventiamo dipendenti Asl salta il sistema». Lettere ai sindaci: «Vorrei attirare la sua attenzione sulla forte preoccupazione che stiamo vivendo come categoria sul futuro della medicina generale, con il rischio di compromettere seriamente uno dei pilastri del nostro Ssn». Appelli all’Anci: «Un’eventuale modifica dello stato giuridico dei medici di famiglia non farà altro che indebolire l’assistenza territoriale». Pubblicità a pagamento sui giornali: «Con il passaggio alla dipendenza delle Asl il rapporto di fiducia con il tuo medico di famiglia verrebbe compromesso per sempre». Se la politica si arrenderà di fronte a questa operazione di «terrorismo psicologico» della Fimmg e alla paura di perdere voti, il finale è già scritto: le Case della Comunità, dopo averci speso 2 miliardi del Pnrr, resteranno scatole vuote. E i cittadini si arrangino.