Aeroporto di Lamezia, la radiografia di una calabrese che vive a Londra

Oggi, 26 aprile 2025, mi trovo all’aeroporto di Lamezia Terme, pronta a ripartire per Londra, la città dove vivo, studio e lavoro, dopo aver trascorso le vacanze pasquali nella mia terra d’origine: la Calabria.
Un viaggio che, ancora una volta, lascia in bocca un sapore amaro e impone una riflessione dolorosa su cosa significhi realmente parlare di sviluppo in una regione dotata di bellezze naturali straordinarie, ma continuamente tradita dall’incuria, dall’inadeguatezza e da una gestione scandalosamente miope.

Sono arrivata il 17 aprile, atterrando a Napoli Capodichino. E come ogni volta, il confronto con il nostro aeroporto è stato impietoso, addirittura umiliante.
Non è la prima volta che percorro la tratta Lamezia-Londra Stansted, ma oggi, dopo l’ennesima esperienza fallimentare, sono certa che sarà anche l’ultima.

Giunta in aeroporto due ore prima della partenza, mi sono trovata davanti a una scena surreale, una fotografia perfetta della nostra incapacità sistemica: una fila interminabile al bag drop, più di cinquanta persone accalcate, solo due sportelli aperti su sette disponibili.
Famiglie inglesi, svizzere, polacche, con bambini piccoli al seguito, esausti, disorientati.
Volti stanchi, sguardi attoniti, commenti di protesta pronunciati in italiano, inglese:
“It’s the first time I am waiting so much”, “Unbelievable”, “Sempre la solita storia”.

Un’ora abbondante di attesa solo per depositare il bagaglio.
Un disservizio che, altrove, sarebbe motivo di indignazione pubblica; qui, ormai, è vissuto come una condanna accettata a denti stretti.

Dopo circa 45 minuti, finalmente raggiunto il banco del bag drop, il calvario non era ancora terminato: ai controlli di sicurezza, ho assistito a una scena imbarazzante.
Un giovane turista asiatico, il cui biglietto elettronico non veniva riconosciuto dallo scanner, ha chiesto aiuto al personale. La risposta? Totale incapacità di comunicare in inglese. Nessuna comprensione, nessun supporto, solo tentativi di comunicare a gesti.
Mi sono trovata costretta a intervenire per tradurre, scioccata da una situazione che avrebbe dovuto essere gestita naturalmente con competenza e professionalità.
Siamo a pochi chilometri da Tropea, una delle perle più celebrate del turismo internazionale, eppure il personale dell’aeroporto fatica a parlare la lingua universale del turismo. È superfluo commentare oltre.

Proseguendo verso l’imbarco, ho trovato ulteriori elementi di degrado: contenitori per i controlli di sicurezza di dimensioni ridotte alla metà di quelle standard, costringendo ogni passeggero – specialmente famiglie numerose – a utilizzare cinque o sei contenitori per pochi effetti personali.
Un dettaglio solo in apparenza marginale, ma che contribuisce a rallentare e congestionare un sistema già carente di efficienza.

Prima dell’imbarco, un’ulteriore sosta nei servizi igienici ha completato il quadro: muri rotti, mattonelle mancanti, scarichi non funzionanti.
Un ambiente che, più che accogliere, respinge chiunque vi entri.

Caro presidente Roberto Occhiuto, benvenuto in Calabria-come cita la scritta all’entrata dell’aeroporto.
Benvenuto in una terra bellissima, ma tradita.
Benvenuto dove i giovani migliori sono costretti a partire, dove i turisti vengono accolti in aeroporti fatiscenti, dove ogni potenziale viene sistematicamente sprecato.

La Calabria è una terra baciata da una bellezza autentica e struggente.
Una terra che potrebbe – e dovrebbe – essere una perla del Mediterraneo, un modello di accoglienza e di eccellenza.
E invece è inchiodata a una realtà indecorosa, fatta di degrado, pressapochismo e scelte amministrative fallimentari.

Negli ultimi anni, è doveroso riconoscerlo, alcuni tentativi di rilancio sono stati compiuti.
Tentativi che, però, restano drammaticamente insufficienti.
Perché se l’ordinario non funziona – se un aeroporto non riesce a garantire nemmeno i servizi basilari – ogni grande progetto di sviluppo rischia di affondare nelle sabbie mobili della mediocrità.

Come si può pensare di attrarre turismo internazionale se l’accoglienza parte da code chilometriche, personale impreparato, bagni indecorosi e comunicazione inesistente?
Quale immagine di sé vuole dare la Calabria, se non è nemmeno in grado di accogliere con dignità chi sceglie di visitarla?

Forse non è ancora chiaro che i turisti vengono in Calabria per le bellezze che la natura ha generosamente donato, non certo per i servizi che – nonostante decenni di proclami – non siamo riusciti a costruire.
A soli 200 chilometri di distanza, due settimane fa, mi sono trovata davanti alla realtà dell’aeroporto di Napoli: moderno, efficiente, pronto ad accogliere il mondo.
Una realtà che fa capire quanto la Calabria resti indietro, non certo per mancanza di potenziale, ma per un sistema fatto di clientelismo, favoritismi e incuria.

Personale inesperto e non qualificato, selezionato non per merito ma per logiche politiche; incapacità di comunicare in inglese, tecnologie antiquate, infrastrutture fatiscenti: questa è l’immagine che offriamo a chi arriva da fuori.
Persino le forze dell’ordine all’esterno dell’aeroporto si rivelano incapaci di comunicare con i turisti stranieri.
Dunque mi domando: come dovrebbe un visitatore straniero chiedere aiuto in Calabria? Affidandosi al primo cittadino di passaggio capace di comunicare in inglese? O magari ricorrendo a Google Translate?

Eppure la soluzione è semplice: riposizionare personale competente, capace, formato, giovane.
Si parla tanto della fuga dei giovani calabresi, eppure qui, in ruoli chiave per l’accoglienza turistica, troviamo solo addetti tra i 40 e i 60 anni, selezionati più per debiti politici che per capacità.

Sono certa che ogni turista, alla fine del soggiorno, non possa evitare il paragone con la propria terra di origine: Inghilterra, Svizzera, Polonia…
E inevitabilmente la Calabria appare come una regione del terzo mondo, un luogo bellissimo e disperato.

Chi ha avuto o ha la responsabilità di governare questa terra non ha saputo né valorizzarne il potenziale né proteggerne il futuro.
Non so se per incompetenza o, come molti temono, per connivenze con sistemi malati come la criminalità organizzata.

Ottocento chilometri di costa che avrebbero potuto trasformare la Calabria in una nuova California, e che invece restano deserti, abbandonati, inutilizzati.

Qualche giorno fa, il 22 aprile, ho visitato Tropea: un vero gioiello.
Qui imprenditori locali e nazionali investono con coraggio, credendo in un possibile riposizionamento della Calabria nel panorama turistico internazionale.
Ma questi sforzi rischiano di essere vanificati se le istituzioni non mostrano un impegno concreto e reale.

Chi ha a cuore questa terra lo vede: il turismo è già in crescita. Gli investimenti stranieri aumentano. Eppure le istituzioni sembrano ferme, incapaci di cogliere l’opportunità.

La Calabria, una delle terre più antiche d’Europa, erede della Magna Grecia, resta nascosta, umiliata, soffocata da un sistema politico malato.
Le bellezze, la storia, le tradizioni non mancano. Mancano, semmai, l’onestà, la competenza e la visione.

Fino a quando non si avrà il coraggio di rompere con il passato e di investire in competenza, rigore e trasparenza, la Calabria resterà inchiodata ai margini, osservando il progresso degli altri senza mai esserne parte.
Le bellezze naturali continueranno a mascherare un fallimento strutturale di cui in pochi sembrano voler prendersi davvero la responsabilità.
Non bastano più slogan, piani annunciati e promesse di rilancio: servono fatti concreti, servono scelte coraggiose.
Fino ad allora, chi ama davvero questa terra non potrà che guardarla da lontano, con amarezza e indignazione.