Ci sono tre cose che ai docenti italiani non piacciono, da sempre. 1) Non piace loro essere pagati, come tutti gli altri lavoratori dipendenti, per le ore effettive di lavoro settimanali (se gli alunni sono tutti assenti, loro vanno a spasso, ma se in un negozio non entrano clienti non è che il commesso se ne esce). 2) La seconda cosa la si capisce guardando ad una novità dell’Esame di Stato, dove per le due prove scritte nazionali è stata prevista adesso una griglia di valutazione nazionale. Un piccolo passo avanti, ma che non risolve il problema della discrezionalità della misurazione di ogni prova. Immaginate cosa sarebbe la scuola italiana se alla fine dell’anno ogni studente dovesse misurarsi (il verbo è scelto apposta) al computer con una batteria di quesiti previsti a livello nazionale per ciascuna materia. L’alunno Rossi di Bolzano e l’alunno Bianchi di Ragusa (per es. della prima dell’ITE) saprebbero che il voto dato a ciascuno è oggettivo, che in tutta Italia si sono studiati gli stessi argomenti per quella materia, e che i docenti in classe ci vanno per facilitare l’apprendimento. In parole povere, è quello che già succede per ottenere la patente di guida o il certificato Ecdl. Questa seconda cosa non la vedremo mai, e quindi accontentiamoci delle griglie nazionali di valutazione, ovvero dei parametri, che saranno fornite alle commissioni per una correzione più omogenea ed equa. Ma pur con la griglia comune, ogni prof poi farà come crede e sa. Perché ho detto che la valutazione non diventerà mai nazionale e oggettiva? Perché già le cd “prove parallele” che le scuole, di ogni ordine e grado, stanno da anni svolgendo per tentare (attenzione al verbo) di limitare la varianza tra le classi (per es., nella sez. A si studia italiano in modo superficiale, nella B in modo approfondito), sono osteggiate dai docenti, e in ciascuna scuola sono svolte solo per finta: i proff di una stessa materia non riescono neppure a mettersi d’accordo su cosa gli alunni di un determinato anno dovranno alla fine sapere e saper fare. Le prove da somministrare vengono stabilite attraverso estenuanti mediazioni al ribasso, vengono svolte consentendo di copiare, e dopo la correzione, non se ne parla più. Una cosa che si fa per dire che è stata fatta, senza crederci più di tanto. 3) Infine, i docenti non amano parlare con i genitori. I genitori possono essere i peggiori o i migliori del mondo, ma per i docenti sono il pane quotidiano. I genitori non si scelgono, arrivano e ti portano alunni, la materia prima per insegnare. Ora, insegnare senza voler parlare ai genitori, o parlandoci poco (è la stessa identica cosa) è come un medico che dicesse: io visito il paziente ma non parlo con i parenti. Come lo considerereste questo medico, sano di mente? E perché consideriamo sani i proff che pensano alla loro attività come quella che si svolge in aula con gli alunni e non capiscono l’essenzialità del rapporto con i genitori? Solo se scuola e famiglia collaborano e s’intendono e perdono tempo per parlarsi (non tramite whats app), migliorano le prestazioni degli studenti. Si dice: le famiglie sono peggiorate. Perché, le scuole sono migliorate?