BRAMBILLA/ PENSIONI AVARE?

Si fanno, senza spiegarle, affermazioni del tipo: «il 36,3% dei pensionati italiani può contare su un assegno al di sotto dei mille euro lordi, il 12,2% non supera i 500 euro. Un pensionato su quattro (24,7%) si colloca, invece, nella fascia di reddito superiore ai 2.000 euro lordi». Nell’analizzare le pensioni per classi di importo (1 volta il minimo cioè 513 euro al mese per 13 mesi; 2 volte il minimo, 1.026 euro, e così via) e tipologia (argomento non dichiarato dall’Istat), le cose sono un po’ diverse dalla narrazione fatta sopra. Semmai — anche se dirlo è impopolare — la situazione è più sfavorevole per le pensioni medie e medio alte che da tempo hanno le prestazioni non indicizzate all’inflazione e che oltre i 100 mila euro sono state «tagliate» senza un metodo scientifico. Proviamo a spiegarlo in modo matematico. Su 16 milioni di pensionati circa la metà è totalmente o parzialmente assistita dallo Stato quindi da tutti noi attraverso le tasse che paghiamo. Circa 800 mila pensionati (il 5,12%) usufruiscono della pensione o assegno sociale.

Che cosa vuol dire? Che fino a 66 anni sono stati sconosciuti al fisco nel senso che non hanno mai pagato nè contributi sociali e neppure le imposte dirette. Poi si sono palesati richiedendo l’assegno mensile in assenza di redditi. Uno Stato di diritto aiuta i più deboli, ma in altri Paesi europei dopo una certa età (33/36 anni) si chiede al soggetto sconosciuto di che cosa vive, prendendo i relativi provvedimenti come succede in Svizzera e Germania. Da noi no. E così senza fare troppe domande, a presentazione di un Isee che può essere discutibili, paghiamo a piè di lista, senza discutere e anzi, qualcuno propone pure di aumentarle queste prestazioni assistenziali a danno delle pensioni più alte.

Ci sono poi altri 2,9 milioni di pensionati (18,2%) che beneficiano dell’integrazione al minimo (513 euro al mese); questi ex lavoratori sono stati parzialmente sconosciuti al fisco in quanto in 67 anni di vita non sono riusciti nemmeno a versare 15/17 anni di contribuzione. Che hanno fatto nei trent’anni precedenti? Anche qui nessuna domanda; Isee e pagamento a piè di lista. Poi ci sono circa 800 mila altri pensionati (5%) che sono in una situazione uguale a quella precedente ma che per legge prendono la «maggiorazione sociale» di 630 euro mese per 13 mesi; anche qui stesso discorso: pagamento a domanda. Siamo arrivati al 28,3% dei pensionati che — come si sarà capito — non hanno subito una ingiustizia sociale, ma beneficiano di un sussidio, perché per 66 anni di vita non hanno pagato tasse e contributi.

L’Istat dovrebbe anche spiegare ai cittadini che per circa 8 milioni di pensionati su 16 milioni non ci sono pensioni ma benefici assistenziali sui quali non gravano imposte. L’Irpef, circa 50 miliardi, grava sul 40% di pensionati che prendono più di 1.200 euro al mese e soprattutto su quel 24,7% di ex lavoratori con prestazioni da 2 mila euro in su; cioè sulle pensioni vere, pagate con contributi e tasse da chi le percepisce. (Corsera, Economia, 10/2/2020. Alberto Brambilla: Pensioni avare? La metà di chi le incassa non ha mai versato contributi)