(2/8/2020) La sintesi della posizione dell’esecutivo giallorosso su “Autostrade” è stata enunciata da Di Maio la notte del 14 luglio: «Abbiamo sottratto un bene pubblico alla logica del mercato». È il bis di «abbiamo sconfitto la povertà», la summa del Di Maio-pensiero. Non populismo sociale, come si illude Goffredo Bettini, ma totale inadeguatezza. Purtroppo per noi tutti, Atlantia, socio di maggioranza, pretende di far valutare il valore di Autostrade dal mercato. Pretesa inattaccabile che vincerebbe davanti a qualsiasi tribunale italiano o comunitario. Non può lo Stato (con i Conte, Di Maio, De Micheli) espropriare Atlantia di una proprietà pagando solo 3 miliardi. Quanto vale Autostrade non può stabilirlo Di Maio ma appunto lo stabilisce il mercato.
Sono anni ormai che i grillini e i loro sodali de sinistra se la prendono con il “mercato”, che per loro è un concetto strano. Sono contro il mercato, ma purtroppo non sanno cos’è il mercato.
Agli italiani prima i cattolici e poi i comunisti (entrambi sanno sempre cosa è il FINE buono e giusto) hanno fatto credere che “non ci si può affidare al mercato”. Perchè? La concorrenza non fa bene (non piace a nessuno avere un concorrente, neppure al travet), il mercato è il male, pertanto va regolato, imbrigliato, indirizzato. Va “regolamentato”. Ma scusa, è grazie al mercato che ho trovato un’offerta di luce e gas più conveniente. Conosci “Facile.it”? Ma cosa dici, son tutti d’accordo, quale concorrenza? Oggi dominano la finanza, i monopoli sovranazionali, la UE. Conviene tornare allo Stato-Nazione e alla liretta? Le regole del gioco sono sempre necessarie. Se giochi a scacchi segui le regole generali, ma ogni pezzo poi deve muoversi dentro quelle regole. In Italia no, dopo le regole, si regolamenta: altre norme speciali per i pedoni, per i cavalli, gli alfieri, le torri e così via. E’ la logica del piano regolatore.
Così come facciamo con le costruzioni. Non dobbiamo lasciare a tutti la libertà di costruire case a proprio piacimento, al contrario un’autorità deve stabilire un modello virtuoso al quale tutti devono conformarsi. Il mercato è disordine, il piano regolatore è ordine. La città sarà più bella (così è se vi pare) se, per fare un esempio concreto lametino, impediamo su via del Progresso di costruire. In questa zona puoi costruire e qui no, lo decide il Comune: ed ecco spiegato l’abusivismo.
In questi giorni il governo vuole che compriamo monopattini o bici elettriche, con il bonus, o auto nuove con gli incentivi. L’Alitalia o Autostrade le abbiamo tolte dal mercato, così come il Monte dei Paschi, lo capite che lo Stato è buono e il Mercato cattivo? Lo capite che salute, scuola, trasporti debbono essere fuori dal mercato, che i Benetton sono malvagi e quelli dello Stato che non li hanno controllati sono buoni?
Il mercato, di qualsiasi bene, si ritiene debba essere indirizzato dalla politica, che, beninteso, sa sempre cosa è buono e giusto, cosa è ecologico, cosa rispetta la natura o la salute. Quello stesso Stato che produce sigarette, lotterie e gratta e vinci, deve regolamentare il mercato. La Multiservizi a Lamezia per non lasciarla al mercato l’ha tenuta il Comune e così è fallita. Il Teatro Grandinetti, per non lasciarlo al mercato, l’ha comprato il Comune e così resta chiuso. Abbiamo reso pubblico un cinema e possiamo lasciare Alitalia ai privati?
Cos’è il mercato? Il mercato ti premia e ti condanna nel giro di poco, guardate i cellulari Nokia. E’ imprevedibile, non ha una propria volontà, non ha scopi, non comincia e finisce. Il mercato non è una foto, ma un film che si sviluppa attraverso una ragnatela di moltissimi scambi e che nessuno sa dove ci porterà di preciso. E’ acefalo, non è un insegnante che dà voti, è orizzontale, non c’è un principio ordinatore immutabile ed esterno. Tutti noi oggi ormai così esigenti ed attivi (mangiamo male in un posto e subito lo scriviamo su TripAdvisor, mettiamo sui social la foto di una sala d’aspetto sporca, e così via) invece di pensare che il Mezzogiorno non decolla perchè la mafia non lo vuole il mercato, ci affidiamo sempre a “piani” pluriennali scritti da presunti esperti per farlo sviluppare, lo stiamo facendo dal dopoguerra in poi, con “Casse del Mezzogiorno”, banche, interventi straordinari, ministri appositi, commissioni e teste d’uovo.
Siamo convinti che le regolamentazioni spianano nuovi mercati, che le normative ambientali ed energetiche aprono la strada ad innovazione e progresso, che opporsi a fabbriche nocive, inceneritori, discariche, dire tanti NO significa sempre stare dalla parte del giusto, della natura. Così inventiamo le revisioni periodiche delle auto, un pizzo di 70 euro che ciascuno di noi deve pagare per inquinare di meno (?), inventiamo migliaia di norme sulla sicurezza del lavoro che hanno prodotto miliardi di nuovi adempimenti e lavoro per consulenti senza però aumentare di un grammo la sicurezza stessa.
Insomma, lo abbiamo capito tutti, quando una serie di regole, o di incentivi, spingono un’azienda o un individuo a fare cose che altrimenti non avrebbe fatto, la società non ne trae solo benefici. C’è anche un costo. Se io ho meno libertà e devo conformarmi a quello che l’Autorità vuole che io debba fare, se le mie decisioni sono orientate dall’esterno, ciascuno si arrangerà per rispettare le prescrizioni. Dobbiamo capire che non esistono decisioni giuste se a prenderle è un singolo centro decisionale che si sostituisce a milioni di persone. Non siamo pedoni sulla scacchiera ma esseri umani imprevedibili, con tutte le qualità e i vizi e le meschinità che abbiamo, eroi e stronzi, santi e diavoli.
Un ultimo esempio davvero sotto gli occhi di tutti. Il gagà, il Conte Casalino, dotato di tutti i poteri emergenziali, incarica un suo protetto, Arcuri, di procurare le mascherine che ci servono. La faccenda mi ha ricordato quando da preside dovetti fare una gara per scegliere la ditta che vendeva i panini. Che criterio di aggiudicazione mettiamo? L’aggiudichiamo a chi vende il panino al prezzo più basso, disse uno. E io risposi: e quello che mette nel panino lo controlli tu ogni giorno? Giunti ad agosto, rispondete a questa domanda: le mascherine agli italiani chi le ha procurate, il governo, Arcuri, oppure il mercato? Io rispondo il mercato, vale a dire un processo di decisioni e scambi tra aziende diverse senza che nessuno potesse prevedere il finale del film (e il prezzo di vendita).
Se in un paese ci sono tre bar, per il consumatore di caffè è senz’altro meglio, ma il processo non finisce qui. Se quei tre bar fanno affari, ne apriranno altri magari offrendo miscele nuovissime oppure cocktail e tramezzini. I consumatori hanno un vantaggio non dalla concorrenza ma dal fatto che i vari produttori apprendono l’uno dall’altro. Dal punto di vista del singolo produttore gli altri sono un problema, ma anche un aiuto, ad immaginare nuovi prodotti e servizi.
I desideri dei singoli che compongono ogni mercato si rivelano di volta in volta nelle relazioni di scambio. Ecco perchè, malgrado Arcuri e la sua pretesa leninista di far vendere mascherine a 0,50, mi sono comprato on-line una mascherina con il mio colore preferito, ho scelto la forma e il materiale e ho pagato un prezzo alto: la mia mascherina esclusiva nasce dal mercato non da questi idioti che vogliono sempre ogni giorno indirizzare il mercato e dirci cosa dobbiamo fare e cosa no.
Da oggi in poi diffidate di chi il mercato lo vuole meno libero, in fondo ognuno di noi compra qualsiasi cosa (compresa un mascherina) per stare meglio. Se non avessimo l’illusione di stare meglio con un oggetto che compriamo finiremmo tutti a giocare alle slot e lo Stato è contento.
Non so se si è capito che al “dirigismo” preferisco il “consumismo“. State a debita distanza dai dirigisti di qualsiasi colore e forma. Lamezia è esemplare, siamo diventati poveri in canna seguendo i mafiosi (i più dirigisti di tutti) e dirigisti improvvisati che lanciano anatemi contro il “neoliberismo” come novelli Savonarola, i cui seguaci non a caso erano i cd “piagnoni”. La vicenda “Borgo antico” – Noto, e siamo nel 2020, ancora molti non l’hanno capita, dire NO è la cosa più semplice se non ti chiedi a chi fai un favore.