(Francesco Scoppetta, articolo pubblicato il 5/11/21. Mario Draghi e’ stato capo del governo dal 13/2/21 al 22/10/22 per un totale di 616 giorni)
Se non lo avete ancora capito c’è una vecchia trincea scavata in Italia tra i veterocomunisti alla Tomaso Montanari e i riformisti liberali. I primi sventolano da sempre una bandiera con su scritto “W la Rappresentanza” e si sono inventati una realtà immaginaria che è diventata il loro incubo: il nostro sarebbe un paese dove si decide troppo, si mortifica la rappresentanza e si reprime il dissenso. Draghi se lo sognano la notte.
Su questa faglia che da decenni rappresenta la divaricazione della sinistra tra quelli che fanno del “Parlamento bla bla bla” il centro della democrazia concertativa e gli altri i quali alla fine di un bel dibattito vorrebbero un governo che decide e realizza, si consuma l’eterno dibattito su quale sia il Sistema migliore e quale la legge elettorale conseguente. Per i primi la Costituzione è intoccabile, per i secondi la prima parte sacrifica il governo e ci tiene lontano dalle democrazie più efficienti.
Dal 1993 a oggi il numero delle riforme elettorali e istituzionali, dei referendum, delle commissioni bicamerali e monocamerali con cui si è tentato in ogni modo di portare a compimento la «transizione» verso un sistema presidenziale o semipresidenziale, all’americana o alla francese, è pressoché infinito (come dice il filosofo, nulla ostacola tanto la guarigione quanto il cambiare continuamente medicina).
Non c’è leader politico che al momento del massimo successo non si sia illuso di poter chiudere la partita a suo vantaggio una volta per tutte, fare cappotto, ottenere finalmente i pieni poteri, il plebiscito referendario, la paternità della Grande Riforma o comunque il titolo di Salvatore della patria con cui presentarsi all’elezione diretta (possibilmente dopo essersi ridisegnato allo scopo le istituzioni e la legge elettorale). In poche parole: la via d’uscita gollista dalla crisi politico-istituzionale aperta negli anni novanta, che tuttavia gli italiani, nella loro infinita saggezza, non hanno concesso a nessuno. Nemmeno a Berlusconi (Francesco Cundari) .
Quando Giorgetti ha parlato di un «semipresidenzialismo de facto» cui si arriverebbe semplicemente con l’ascesa al Quirinale di Mario Draghi, ha toccato dunque un nervo scoperto della nostra democrazia. L’ultimo che ci provò a cambiare fu Renzi nel 2016 ma ora a tutti è chiaro che se avesse lasciato in pace la legge elettorale proporzionale così com’era uscita dalla sentenza della Corte costituzionale (magari con qualche limatura, come una ragionevole soglia di sbarramento) avrebbe portato a casa il risultato.
Il fatto è che in Italia una sorta di «presidenzialismo di fatto» c’è già, ed è stato introdotto quando si è consentito di portare sulla scheda elettorale, inserendolo surrettiziamente nel simbolo delle coalizioni, il nome del leader dell’alleanza, producendo così una simulazione di elezione diretta.
Questo è l’unico vero attentato alla Costituzione compiuto in Italia da trent’anni a questa parte, una sorta di “si fa ma non si dice” all’italiana, ovviamente in nome dello «spirito del maggioritario» (che è il modo elegante in cui s’intende il contrario di quanto previsto dalla lettera della Costituzione). E ha prodotto una quantità di storture infinite, a cominciare da tutta la retorica populista sui presidenti del Consiglio «non eletti» (come se gli altri lo fossero), per non parlare dell’equiparazione di qualunque crisi parlamentare a un golpe. Per chi non lo ricordasse, ancora pochi anni fa, Silvio Berlusconi andava in televisione sostenendo di avere subito ben «cinque colpi di stato» (a conferma di come un certo fanatismo del maggioritario sia stato in questi anni il più solido puntello del berlusconismo). L’ultimo in ordine di tempo ad aver subito un golpe è Giuseppi per mano di non precisate forze internazionali di cui occorre chiedere a Goffredo Bettini.
Draghi in questo scenario è il bersaglio perfetto per fascisti e comunisti uniti nella lotta. Incarna tutto il male del mondo, la finanza, la banca, l’Europa, il neoliberismo, la tecnocrazia, per giunta parla poco e non va nemmeno in tv da Vespa e Floris, non dà interviste e confidenza a nessuno. E’ chiaro che destra e sinistra non vedono l’ora di liberarsi di questo impedimento al libero gioco democratico, se potessero parlare Franceschini Travaglio Conte Meloni e Salvini ve lo direbbero subito.