Quando ho scoperto, su Tele+, Sorrentino (1970) avevo la sua età di oggi e il suo film di esordio era Un uomo in più. Ho capito subito che era da tenere d’occhio e infatti tre anni dopo con Le conseguenze dell’amore mi dimostrò che avevo visto giusto. La sua personalità emerge meglio oggi con questo film in cui racconta il suo dramma familiare. Un altro regista ne avrebbe fatto la sua ossessione, avrebbe voluto far cinema solo per “dìcere al mondo” (raccontare al mondo) quel dramma, quella bella stagione adolescenziale spezzata dal destino. Invece Paolè diventato Paolo ha cominciato raccontando la storia di un ex calciatore, di un vecchio allenatore e di un ex cantante di successo. Erano tre soggetti che ha intrecciato in un solo film perchè non sapeva se avrebbe fatto il secondo. Dopo aver avuto successo in Italia Paolo poi si è messo in testa di farsi conoscere in America e colà i cineasti di culto (da Allen a Scorsese) compendiano il cinema italiano con l’arte di Fellini. Per cui gli è stato facile sviluppare la sua ammirazione nascosta (in quest’ ultimo film ne parla) e farla diventare la sua cifra, per cui oggi nel mondo è l’erede di Fellini. Con il riminese Paolo ha in comune due cose, il pensiero che la realtà sia triste e l’immaginario aiuta a vivere meglio; la curiosità per i tipi umani. Fellini ricostruiva la realtà in studio sino a mostrarci un mondo che assomigliava a quello reale ma in fondo era il suo; Sorrentino invece va in giro e guarda curioso le persone, con le sue cuffiette all’orecchio l’orecchino e i basettoni, perchè è rimasto un rocckettaro. La scena iniziale del film vale tutto il film che, come ormai tutta l’opera di Sorrentino, si dipana tra l’esigenza di svelarci qualcosa che pensa e quella altrettanto importante di portarci al cinema. Lui sa cosa vuole il pubblico e lo aggiunge a quello che gli interessa trattare (la serie sul Papa ne è una dimostrazione lunga). Un piccolo esempio. Negli ultimi due film ha dato la possibilità a due bellissime attrici, la Ferilli e la Ranieri, di recitare anche attraverso la bellezza del proprio corpo. Basta solo questo a noi italiani, che siamo sessuomani e ben rappresentati dai film di Pierino, per far la reclame ai film di Sorrentino, ormai adulto da esser diventato furbo e profondo, internazionale e pop, bello da vedere ma con una sola pecca: qualche scivolata di troppo nel fellinismo con i suoi mostri, tipo la “santa” caricatura di Madre Teresa ne La grande bellezza. Quel che Sorrentino non ha capito, secondo me, è che deve evitare il film alla Sorrentino. Faccio 2 esempi di grandi. Alfonso Cuaron ha girato Gravity ma anche Harry Potter eppure con Roma ha fatto il suo meraviglioso film più personale. Oppure Spielberg, chi avrebbe mai immaginato che adesso girasse un musical? Il fatto è che il director deve essere al servizio della storia e del film e non viceversa. Sorrentino invece anche in questo ultimo film vuole inserire qualche “mostro felliniano” e qualche animale di troppo (un pipistrello), anche se c’è molta sincerità e misura, perchè, come ho detto, il fatto che non sia stato il suo primo film ma il decimo significa che il personaggio ha avuto bisogno di almeno trent’anni per “intrattenersi” con il suo dolore profondo e anche per parlare di Napoli e dei napoletani. Infatti la cosa più intelligente che ha fatto l’uomo è stata quella di non ascoltare i consigli del regista Capuano.