
di ILARIA CARRA, ALESSANDRO CECIONI, ANNA LAURA DE ROSA e CECILIA GENTILE ( Repubblica 25 giu 2016)
I Comuni sono senza uomini né risorse per far fronte alla manutenzione ordinaria e straordinaria del verde urbano, i 550 milioni di metri quadrati di alberi, prati, fiori, viali e parchi che compongono il verde pubblico italiano (dati riferiti ai 120 capoluoghi di provincia), per cui spesso vengono dati in gestione ai privati. Un patrimonio che diviso per il numero di italiani corrisponde a 30,3 metri quadrati per abitante, un dato che non ci metterebbe nemmeno male in un’ipotetica classifica mondiale. A New York, per dire, ogni cittadino ha a disposizione 23,1 metri quadrati, a Parigi 11 e mezzo: ma provate a cercare un arredo rotto o rifiuti abbandonati a Central Park o nel Giardino delle Tuileries. O nei parchi di Londra, che sono comunque immensi e fanno dei londinesi dei cittadini fortunati con i loro 105 metri quadrati a testa.

Ai romani ne toccano 16,5 a testa, ma ci sono 20mila alberi ridotti a un mozzicone che aspettano di essere sostituiti, panchine spaccate, prati che sembrano giungle. Un rapporto Istat sul verde urbano segnalava nel 2014 che ogni cittadino italiano che vive nelle città capoluogo disponeva in media di 31,1 metri quadri, con forti differenze regionali. Ma le statistiche non ci dicono nulla sullo stato qualitativo.

La foto sfocata delle statistiche. “Il problema è proprio questo: il degrado del verde pubblico. I dati statistici non riescono a cogliere l’aspetto decisivo della qualità di prati, alberi, attrezzature. Anche i dati che pubblichiamo nel nostro rapporto annuale ‘Ecosistema urbano’ ci dicono, per esempio, che Matera ha quasi mille metri quadrati di verde per abitante, ma non ci dicono in che condizioni si trovano e se per raggiungerlo devo prendere la macchina o ci posso andare a piedi, non ci dicono se le panchine ci sono o sono devastate”, sottolinea Alberto Fiorillo, responsabile Aree urbane di Legambiente. La riprova sta nelle centinaia di comitati a difesa del verde che si contano in Italia. E sta nei dati del sondaggio fatto nel 2013 da Eurobarometro in 79 città e 4 agglomerati urbani europei sulla percezione della qualità del verde urbano. Il 71% dei napoletani e 6 palermitani su 10 si dichiarano insoddisfatti dello stato dei loro parchi e giardini.

Un tesoro urbano. Eppure il verde urbano è un bene prezioso. “È importantissimo per i comportamenti della popolazione. Il verde è il colore della calma – dice Mariella Zoppi, dicente di Urbanistica, presidente del corso di laurea magistrale in Architettura del paesaggio all’Università di Firenze – quindi svolge una funzione psicologica, sociale. Sotto il profilo ambientale, poi, ha effetti benefici sulla qualità dell’aria. Io credo che sia un elemento fondamentale nella transizione verso una nuova società. Per questo considero sbagliato il taglio della spesa pubblica in questo settore”.

Parchi, il degrado città per città
Legge quadro. Dal 2013 è in vigore la legge 10/2013, una vera e propria legge quadro sullo sviluppo e la salvaguardia del verde pubblico in Italia. Il fulcro è il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico istituito presso il ministero dell’Ambiente. E’ al Comitato che è demandato il controllo sulle norme che riguardano la tutela degli alberi monumentali, del rispetto dell’obbligo per i Comuni sopra i 15mila abitanti di piantare un albero per ogni bambino nato o adottato. E’ il Comitato, ancora, che emana circolari attuative della legge e che indica i criteri che le amministrazioni territoriali devono seguire in materia di urbanizzazione per mantenere e incrementare il verde pubblico con particolare riferimento agli alberi. Le sanzioni, amministrative e penali, sono previste solo nei casi di abbattimento o danneggiamento delle piante monumento dei Parchi della rimembranza nati dopo la Prima Guerra mondiale, ma ci si sta attrezzando anche per gli alberi monumentali (anche se la definizione “monumentale” è ancora oggetto di dibattito) il cui censimento nazionale è a buon punto, mentre per quanto riguarda il rispetto della norma “un albero per ogni nato o adottato” la sanzione può essere solo “politica”. “La legge – spiega Massimiliano Atelli, presidente del Comitato – introduce il ‘Bilancio arboreo’, ovvero il computo di quanti alberi ha trovato un sindaco al suo insediamento e quanti ne lascia alla fine del mandato. Saranno poi i cittadini, con il voto, a sanzionare o premiare il suo operato”.

Strumenti ignorati. Le amministrazioni locali hanno tre strumenti di governo per parchi e giardini: Censimento del verde, Regolamento del verde e Piano del verde. Il primo fa una fotografia precisa di quello che c’è in una città: quanti alberi, di che specie e in quale condizione di salute si trovano. A redarlo sono stati 53 capoluogo di provincia sui 73 analizzati dal X rapporto Ispra. Il Regolamento deve indicare invece prescrizioni e indicazioni tecniche sulla progettazione del verde (sia pubblico che privato). Lo hanno adottato solo 36 Comuni, 7 dei quali solo per ciò che riguarda il verde pubblico. Poi c’è il Piano, lo strumento più ignorato. Dovrebbe integrare la pianificazione urbanistica per dare una “visione strategica sullo sviluppo del sistema del verde urbano e peri-urbano”, come si legge nella Relazione 2015 del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico. In Italia lo hanno approvato solo sei comuni capoluogo (Savona, Reggio Emilia, Bologna, Ravenna, Forlì e Taranto), mentre Milano e Bergamo hanno norme in materia nel Piano per il governo del territorio. A Venezia in assenza del Piano, e in occasione della Biennale di Architettura, c’è chi ha proposto una sorta di concorso di idee per dodici spazi verdi abbandonati che si trovano nel centro della città.

Il tradimento dell’albero per ogni nato. In attesa del giudizio elettorale, però, sono pochi i Comuni che piantano un albero per ogni neonato. Nella legge è previsto che i municipi inviino a chi ha registrato il proprio figlio all’anagrafe un certificato in cui si dice che tipo di albero è stato piantato e dove. Fantascienza. A Firenze si pianta un albero per ogni classe d’età: c’è quello del 2001, del 2002 ecc. A Torino si è esteso il concetto anche agli arbusti, in altre città della norma si è persa traccia. “A Roma ci sono 25mila nuovi nati all’anno. Non saprei come pagarli considerando che ognuno costa 300 euro fra impianto e manutenzione nei primi due anni. E poi in 10 anni fa 250mila alberi, una foresta. Dove li mettiamo?”, si giustifica Antonello Mori, fino a metà maggio direttore del dipartimento per la Gestione ambientale e del Verde del Comune di Roma, poi spostato ai Trasporti. “Quella del territorio a disposizione è una scusa – sostiene Massimiliano Atelli – la legge prevede che si possano chiedere terreni in prestito al Demanio. O che si usino gli alberi previsti per i neonati per sostituire quelli abbattuti”. E comunque 250mila alberi in dieci anni non possono spaventare se Sadiq Khan, neosindaco di Londra, ha annunciato di voler piantare due milioni di alberi in 10 anni. “In Cina ne vogliono piantare un miliardo da qui al 2020”, chiosa Atelli.
Risorse scarse. A preoccupare sono le risorse, sia in termini di soldi che di personale, con cui i responsabili del verde pubblico dei vari Comuni devono fare i conti. “Le faccio l’esempio del mio Comune – dice Stefano Cerea, presidente dell’Associazione italiana direttori e tecnici dei pubblici giardini – Da trent’anni lavoro a Treviglio, 30mila abitanti, provincia di Bergamo. Lo scorso anno per far fronte a tutta la gestione del nostro verde pubblico avevo un budget di 230mila euro, quest’anno saranno 150mila”. “Noi – aggiunge Mori – oggi abbiamo mezzo centesimo per ognuno dei 40 milioni di metri quadrati di verde che gestiamo a Roma”.

Parchi, il degrado città per cittàL’associazione che Cerea presiede è nata 60 anni fa e conta
400 iscritti in rappresentanza di 200 Comuni. Prima erano ammessi solo i
dipendenti degli enti locali, da tre anni è stata aperta ai funzionari delle
municipalizzate perché spesso i Comuni ricorrono a loro per la gestione del
verde. “Non sempre con grandi risultati – ammette Antonello Mori – a Roma
con Ama, per esempio, si è aperto un contenzioso sulla gestione delle aree per
i cani nei giardini pubblici. Chi deve raccogliere gli escrementi e
disinfettare l’area? Per noi loro, si tratta pur sempre di rifiuti speciali. Ma
Ama non la pensa così”.
Responsabili Servizio giardini nel mirino. “Poche risorse, ma oneri immensi per i responsabili dei Servizi giardini – dice ancora Stefano Cerea – perché se un albero cade, in città, stia sicuro che fa danni. A volte, purtroppo anche delle vittime. E’ accaduto ultimamente a Roma, a Catania, a Napoli. E l’avviso di garanzia dopo il sindaco colpisce il responsabile tecnico. Non solo, siamo anche indicati spesso come nemici del verde dagli ambientalisti, magari perché abbiamo tagliato degli alberi potenzialmente pericolosi. Tre anni fa il dirigente del verde pubblico di Padova si è visto recapitare una busta con un proiettile”.

Pochi e invecchiati. Sul fronte delle risorse umane il problema arriva da lontano, dal 1975 quando la chiamata diretta nella pubblica amministrazione è stata cancellata e non è stato più possibile assumere chi usciva dalle scuole giardinieri, le scuole di formazione dei Comuni. Dal 2001, poi, nel Pubblico Impiego c’è il blocco del turnover, è possibile un’assunzione ogni 5 pensionamenti. E questo ha riflessi sull’organico in termini quantitativi. “Ma da noi a Roma il blocco è iniziato prima, di fatto non ci sono assunzioni dal 1990 e dei 1800 addetti del Servizio Giardini presenti nel 1980 oggi di operativi ne restano 250, con un’età media che supera di gran lunga i 50 anni”, dice ancora Antonello Mori. E’ vero però che a Roma nel 2004 ci fu una corsa a trasformare i giardinieri in personale tecnico, così sul campo rimasero 270 persone in meno. Fu di fatto l’apertura agli appalti esterni, molto spesso per affidamento diretto, un meccanismo che ha permesso al sistema di Mafia Capitale di fare man bassa.


Sponsor e mecenati. Problemi di gestione che appaiono insormontabili, quindi, anche se proprio la legge 10 permette di affidarla ai privati. Due le strade che si possono seguire. La prima è quella della sponsorizzazione: un’azienda sceglie un giardino o un parco e si impegna nella sua manutenzione o al suo ripristino presentando un progetto all’amministrazione comunale che lo approva e poi controlla che tutto venga fatto secondo i criteri decisi. In cambio lo sponsor può utilizzare lo spazio per eventi, campagne pubblicitarie e altre iniziative, garantendo però sempre la fruibilità pubblica. Una modalità applicata con successo in particolare a Milano.

La seconda strada la indica Antonello Mori, già responsabile del servizio Verde pubblico di Roma: “E’ quella del mecenatismo. Ben vengano i privati, le aziende, ma niente uso esclusivo del bene. Un cartello ricorderà chi ha finanziato la manutenzione del giardino. Di più non concediamo. Sta funzionando. L’esempio più recente è il ripristino del Giardino degli aranci sull’Aventino”. “Su questo – precisa Atelli – noi siamo a disposizione per consigli e aiuti pratici. Purtroppo molti ci ignorano, preferiscono fare da soli, o anche non fare niente”. E intanto parchi e giardini vanno in malora.
Verde pubblico: linee guida per la gestione del patrimonio arboreo – L’ Associazione Italiana Direttori e Tecnici Pubblici Giardini i (AIDTPG) ha redatto un documento, destinato sia agli operatori del settore verde pubblico sia alle Amministrazioni pubbliche nonché ai cittadini, con lo scopo di diffondere una maggior conoscenza della gestione dei rischi legati alla presenza di alberi all’interno delle città.
Viene quindi proposto un processo normalizzato che, attraverso la conoscenza del patrimonio arboreo (censimento), la mappatura del territorio (macrozonizzazione) e controlli periodici (monitoraggio ciclico selettivo), guidi i gestori del verde pubblico nella redazione di programmi di manutenzione basati sulle reali necessità di cura degli alberi e sulle esigenze del territorio, stabilendo priorità di intervento chiare ed oggettive.

del verde nella città
(dati Fondazione Openpolis)
La presenza di aree verdi nelle città rappresenta un fattore importante per la qualità della vita di chi ci abita. In questo senso, il verde urbano comprende tutti quegli spazi disponibili per i cittadini. Dai giardini, ai parchi, al verde attrezzato di quartiere e altre infrastrutture.
2,7% la presenza media di verde urbano nei capoluoghi di provincia.
Nelle città, la maggior concentrazione di edifici e strade lascia poco spazio ad aree verdi, cosa che accade in misura minore nelle zone meno urbanizzate. Per verificare la situazione nelle città italiane, abbiamo considerato i metri quadrati di verde urbano disponibili per ogni cittadino, nei capoluoghi di provincia.
I capoluoghi della Basilicata tra le città con più verde urbano
Metri quadrati di verde urbano per abitante nei capoluoghi di provincia (2016)
Con 990,47 metri quadrati per abitante, Matera è al primo posto seguita da Trento (399,61 mq), Sondrio (316,94 mq) e Potenza (190,95 mq). I capoluoghi con meno disponibilità di verde urbano sono invece Isernia (5,90 mq), Trapani (5,52 mq), Caltanissetta (4,51 mq) e Crotone all’ultimo posto con 3,46 metri quadrati per abitante.
Come spiega il rapporto Ispra 2018, gli spazi verdi hanno un ruolo significativo nelle città. Da una parte svolgono una funzione sociale, in quanto rappresentano per i cittadini un luogo di svago. Dall’altra forniscono un servizio ambientale, poiché mitigano l’isola di calore che si crea nelle aree urbane per via di cementificazione, inquinamento e altre cause. Per queste ragioni, è importante che l’amministrazione pubblica si impegni a promuovere lo sviluppo e il mantenimento del verde urbano.

La gestione del verde urbano
Lo sviluppo del verde urbano è regolamentato dalla legge 10/2013. Tale norma prevede per lo stato un ruolo di monitoraggio e pianificazione a livello nazionale, mentre a regioni, province e comuni affida funzioni più operative e, in alcuni casi, di pianificazione a livello locale.
Il comitato per lo sviluppo del verde pubblico, istituito presso il ministero dell’ambiente, fissa criteri e linee guida per la realizzazione delle aree verdi e controlla che le amministrazioni locali le seguano. Da parte loro, regioni, province e comuni promuovono l’incremento degli spazi verdi, in base alle rispettive competenze e risorse, e rendono conto annualmente dei progressi fatti in questo senso.

I comuni sono gli attori principali nella gestione del verde urbano.La strategia nazionale del verde urbano del 2018, elaborata dal comitato, sottolinea l’importanza dei comuni nello sviluppo di aree verdi. Innanzitutto, sono le amministrazioni comunali a doversi occupare in ogni caso della realizzazione materiale delle azioni necessarie. Inoltre, a seconda dei casi, i comuni hanno un ruolo importante anche nel definire le politiche locali, pur seguendo le linee guida del comitato. In questo senso, il principale strumento di pianificazione a disposizione degli enti locali è il “piano comunale del verde”, che ha lo scopo di evidenziare esigenze e soluzioni coerenti in tale ambito.
La spesa dei comuni per tutela, valorizzazione e recupero ambientalePer svolgere le funzioni che abbiamo visto, i comuni destinano parte del loro bilancio alla manutenzione del verde urbano. Tale spesa è inclusa nella voce di “tutela, valorizzazione e recupero ambientale”, insieme a numerosi altri elementi. Dalle spese per il recupero di miniere e cave abbandonate, a quelle per la valutazione dell’impatto ambientale di piani e progetti. Comprende inoltre i sussidi a sostegno di enti e associazioni che operano per la tutela dell’ambiente.

Le spese per il verde pubblico non rientrano in una sola voce di bilancio. È importante sottolineare che la voce considerata non comprende le spese per la manutenzione e la tutela di tutto il verde pubblico, ma solo di quello urbano. Parchi e riserve naturali protetti sono infatti pubblici ma non classificati come verde urbano, fatta eccezione per alcuni casi di sovrapposizione. E le spese destinate alla gestione di queste aree protette è inclusa in una diversa voce di bilancio denominata “aree protette, parchi naturali, protezione naturalistica e forestazione”.
Questa suddivisione tra le voci di spesa pone degli ostacoli a livello di analisi. Da un lato, non permette di avere una visione del contributo complessivo che i comuni destinano alla promozione del verde. Dall’altro, la quantità di elementi compresi nel programma di “tutela, valorizzazione e recupero ambientale” impedisce di isolare la sola spesa per il verde urbano.
Tenendo dunque presente che la voce di “tutela, valorizzazione e recupero ambientale” comprende diverse attività, vediamo quanto hanno speso in questo ambito i comuni più popolosi d’Italia nel 2017.

DA SAPERE I dati mostrano la spesa per cassa riportata nell’apposita voce di bilancio. Spese maggiori o minori non implicano necessariamente una gestione positiva o negativa della materia. Da notare che spesso i comuni non inseriscono le spese relative a un determinato ambito nella voce dedicata, a discapito di un’analisi completa. FONTE: openbilanci – consuntivi 2017
(ultimo aggiornamento: domenica 31 Dicembre 2017)
Tra le grandi città, sono quelle del nord e del centro a registrare i livelli più alti di spesa per la tutela dell’ambiente, seppur con delle eccezioni. Bari è infatti al secondo posto dopo Venezia con 53 euro pro capite, mentre Verona è penultima con 8 euro pro capite, seguita solo da Messina.
È interessante notare che Venezia e Verona, due grandi città della stessa regione, registrano livelli di spesa opposti. Per approfondire questo confronto abbiamo ampliato l’analisi ai bilanci di tutti i comuni delle province di Verona e Venezia.

Città con più di 200mila abitanti (2017) Venezia e Bari spendono più di tutte per il verde urbano e la tutela ambientale
Venezia 53,03 euro pro-capite
Bari 51,08
Bologna 42,91
Milano 41,18
Firenze 32,83
Padova 25,67
Genova 24,41
Trieste 24,40
Torino 20,95
Catania 20,51
Roma 18,13
Napoli 16,29
Palermo 12,79
Verona 8,03
Messina 5,26