(1/10/2017) Una delle innovazioni che il movimento Avanguardie Educative dell’Indire propone alle scuole che vi hanno aderito da ormai tre anni è il cd “compattamento dell’orario scolastico”. Di cosa si tratta? Si tratta di misure elementari, per es. invece di studiare 2 materie, fisica e chimica, nel primo quadrimestre si studia fisica e nel secondo chimica. Oppure di misure radicali che “costringono”, attraverso un cavallo di Troia, a limitare le lezioni frontali. Invece di dare ad un prof un’ora o due di (per es.) “lettere” al giorno, lo si impiega per tre ore, così egli sarà costretto o indotto (dipende) a non spiegare per tre ore consecutive. Insomma, si dovrà inventare modi diversi e alternativi di condurre la lezione. Ecco, mi soffermo su tale misura perché resta il più grande rimpianto del dirigente scolastico che sono stato. Avevamo, io e altri docenti, capito l’importanza del “corso”, così lo chiamavamo. Per ogni materia volevamo far svolgere un corso, alla fine del quale si apriva la fase valutativa. Lo studente (che oggi si assenta per non essere interrogato) all’inizio dell’anno sapeva le date, il giorno preciso in cui avrebbe svolto la valutazione sommativa di italiano, storia, inglese, ecc….
Il corso serviva per avere questi benefici: 1) evitare allo studente troppe materie da studiare contemporaneamente e avvicinarlo alla metodologia universitaria; 2) dare al docente tutto il tempo per spiegare, svolgere verifiche formative scritte e orali (senza dover chiedere ore in prestito ai colleghi), per fare gruppi di lavoro, per fare uscite, insomma per rompere la gabbia “oggi spiego, domani interrogo e mentre interrogo rispiego “. Lavorando all’ipotesi, ci fermammo dinnanzi le obiezioni/svantaggi, la prima delle quali era l’intensità. Il corso presuppone, da parte dello studente e del docente, una presenza assidua. Chiunque capisce che se devo fare 100 ore di lezione in 33 settimane è una cosa, ma se le devo fare in 16, le assenze pesano. Se lunedì manca il prof o lo studente e c’era un’ora di italiano nella classe IA, poco male, ma se le ore del giorno sono 3, l’assenza pesa di più. Questo, almeno per me, fu l’ostacolo maggiore che mi convinse, nel pesare costi/benefici, a non procedere. Tale ostacolo inoltre mi persuase che non valeva la pena intraprendere una dura battaglia campale con sindacalisti e docenti che amano perlopiù, ieri oggi e domani, lo status quo, il “quieta non movere et mota quietare” che è il connotato più consolidato della scuola italiana immobile. Poi c’era il secondo inconveniente, che era la valutazione di fine corso. Se tale valutazione fosse stata negativa, quando e come fai recuperare lo studente?
Fu, il mio, un grave errore, perché oggi sono convinto, come lo ero venti anni fa, che il cuore del problema di rinnovare la scuola italiana è agire sugli spazi,trasformare le aule in laboratori e far muovere al cambio-ora gli studenti (a cominciare da matematica e italiano) ed evitare che la lezione frontale sia l’unico strumento di trasmissione delle nozioni. Tutto il resto è il benvenuto, è utile, ma si occupa dei contorni, non della pietanza. La differenza fondamentale tra la scuola italiana (con cattedra e banchi) e le scuole avanzate del mondo, sta solo in questo, troppe materie in una giornata di scuola (frammentazione) e troppe lezioni frontali del conferenziere, convinto che per apprendere basta solo ascoltarlo. Chi non apprende o è distratto o non capisce.