Nel laboratorio dove Putin, in vista delle elezioni ormai vicine, rimescola la politica italiana, sta prendendo forma la “Federazione dei negazionisti e degli equidistanti” che è un po’ una sòla, come a Roma si chiama la patacca, e un po’ è l’Ulivo dei Né Né. E visto che non sarà facile trovargli un nome, ispirandoci al tormento onomastico di Occhetto, potremmo battezzarla “la Cosa Putiniana”, o meglio ancora, la “Gioiosa Macchina Antiguerra”.
Il leader predestinato, di nuovo “quasi” leader, è Giuseppe Conte, che da sempre vede se stesso come il federatore, il Prodi del populismo italiano, domatore di estremisti come già fu nel suo primo governo quando ad Angela Merkel, preoccupata per le intemperanze di Salvini e Di Maio, diceva: “A quelli ci penso io”. L’equidistanza tra Putin e la Nato, Conte l’ha esibita, nel suo ormai famoso linguaggio dell’“inderloguzione pretermessa”, a Francesco Bei che lo intervistava, con un altro saggio di non sense: “La nostra scelta atlantista è fuori discussione” ha premesso. Ma poi: “Dobbiamo liberarci del vetero atlantismo”, che non significa niente, ma certifica un antiamericanismo, questo sì vetero, travestito di equilibrio.
Con Conte che, un attimo prima è descamisado, batte i pugni e promette che “mai e poi mai voteremo l’aumento delle spese militari”, e un attimo dopo, “ricamisado”, va da Mattarella e promette che mai e poi mai farebbe cadere il governo, il populismo dunque si riorganizza nel negazionismo e tenta un nuovo assalto alla democrazia, in sintonia con la guerra di aggressione che Putin ha sferrato proprio alla democrazia. E sono, i nostri negazionisti, pittoreschi e umorali come lo erano agli esordi quelli di Grillo. Orsini fa “il guerriero culturale” come Dibba faceva il tupamaros e Freccero ipotizza che Mairupol sia “una fiction” come a quel tempo Sibilia giurava che lo sbarco sulla Luna era stata una simulazione, una balla.
Presto organizzeranno il No Bucha Day come allora ci fu il Vaffa Day. E sembra già di vederlo il Rassemblement dei movimenti che non se la bevono, la Federazione di quelli non si fidano del satellite del New York Times e delle immagini della Bbc perché, come ha detto Massimo Cacciari dopo il massacro di Bucha :”In guerra le fake news sono la regola. Per difendersi bisogna studiare”. A volte capita al pensiero sregolato di andare in aceto, ma non bisogna credere che questa sia la commedia di un Balanzone nietzschiano. È invece un progetto politico filorusso e trasversale che si vergogna di se stesso, visto che il dubbio di Cacciari non rimanda né a Cartesio né ad Amleto ma alle bugie di Putin: “Le immagini di Bucha sono state costruite a tavolino da Kiev a beneficio dei media occidentali”. Bisogna, dunque, studiare, ci ammonisce Putin con Cacciari.
Di sicuro non si può pensare di liquidare il negazionismo con l’irrisione per poi, troppo tardi, scoprire che riempe la piazza, speculando sui buoni sentimenti, sul pacifismo del Papa e sull’utopia infantile dove si moltiplicano i dubbi e si smarrisce anche la Cgil di Landini, che non vuole, che non può e non deve diventare la fortezza dell’ideologia contro “gli americani” toccandosi di gomito con la destra che almeno a Putin, si sa, deve pagare qualche sonante debito.
Salvini e Meloni, i leader delle due destre, hanno l’ungherese Orban come modello e infatti a lui si sono stretti ora che ha vinto le elezioni “anche contro Zelensky e contro Bruxelles”. Ma l’atlantismo della Meloni è solido e non è nemmeno una sorpresa perché non c’era la Russia nel retrobottega missino, e non ci sono scampagnate di Meloni sulla Piazza Rossa ma solo quelle generiche affinità – da “No agli immigrati” a “Dio, patria e famiglia” – che uniscono tutte le destre del mondo. Nel corto circuito destra-sinistra sono invece uno spettacolo il Conte che sbatte i pugni e imita Salvini che, a sua volta, imita Conte parlando come lui per metafore, allusioni e “interlocuzioni pretermesse”.
Ad unirli c’è la doppia goffaggine di non nominare mai Putin: sempre più spesso la guerra diventa per entrambi una cattiva azione senza autore, proprio come scrive su uno dei giornali di riferimento della “Gioiosa macchina antiguerra” Marco Travaglio che probabilmente aspira a diventarne l’autista: “sapremo tutto, forse, da un’inchiesta internazionale alla fine della guerra (e molto dipenderà da chi l’avrà vinta). Ma francamente importa poco chi li abbia uccisi, e dove, e quando”.
E va bene ridere della prosa di Travaglio, ma un po’ di sdegno verso l’Anpi bisognerà tirarlo fuori, non più limitandosi a segnalare che l’associazione, in mano a un ceto di impiegati, si è allontanata dai partigiani. A Gianfranco Pagliarulo che fu assistente di Cossutta, va ricordato che l’Armando mai e poi mai si sarebbe schierato con i Né Né, con quelli che si sentono neutrali tra la Russia e l’Ucraina. Cossutta, che abbiamo conosciuto bene, disprezzava i Né Né : lui stava e anche oggi sarebbe stato con la Russia. Il discepolo Pagliarulo invece se ne vergona, e chiede una commissione di Paesi neutrali “per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili. Questa terribile vicenda conferma l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra e al furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”. Via, Pagliarulo: un po’ più di coraggio. Meglio i mattoidi No Vax che apertamente dubitano della guerra come dubitarono dei vaccini, e meglio i leghisti che si sfogano liberamente nelle chat filorusse e su Telegram.
Quale sarà il programma politico di questo Rassemblement? Per adesso è il No che, soprattutto quando è declamato, decora le coscienze mentre il sì rimanda alla sottomissione di Gertrude. Dunque: No Nato, No Vax, No War, No Riarmo, No Green Pass , No Global… Sono attratti dal No pure Leu, Articolo 21, Sinistra italiana, i centri sociali dai quali provengono “compagni“ come Bozambo, che ha combattuto ed è morto per Putin.
In nessun altro paese d’Europa la disinformazione russa sta trovando così tanti utili idioti. Ma se nulla si può fare con i negazionisti di destra, qualcosa nella sinistra Enrico Letta può tentarla. Ha la statura morale per cacciarli via dalla sinistra come furono cacciati i mercanti dal tempio.
(8/4/22) Non penso che Giuseppe Conte sia negazionista, e non l’ho scritto, così come non penso che Cacciari sia al servizio di Putin. Ho raccontato di una maionese che monta nel Paese mettendo insieme mondi trasversali dove l’Anpi si dà di gomito, nientemeno, con la destra di Salvini. Pacifisti e antiNato, equidistanti e Né Né, quelli del No al riarmo e quelli che a Putin debbono pagare debiti stanno, ciascuno con la propria identità, in questo movimento dei movimenti che ho chiamato, denunciando la difficoltà di trovargli un nome, “Federazione dei negazionisti e degli equidistanti”, “la cosa putiniana”, “la gioiosa macchia antiguerra”. Si figuri se io penso, per esempio, che Landini sia negazionista. Il leader predestinato è ovviamente Conte, che è premiato dai sondaggi perché è ormai titolare di “un metodo” che sfida Andreotti e Forlani: il contismo come scienza politica della porta sempre chiusa che rimane sempre aperta, la stabilità del traballante, il rassicurante che smussa gli estremismi perché incarna “l’interlocuzione”. Se fosse negazionista non sarebbe Conte.
In guerra, purtroppo per lei, per me e per i nostri figli, non si può scegliere di non scegliere, non si può stare né di qua né di là, come si illusero di stare i pacifisti che nel 1939 gridavano nelle strade di Parigi di non volere morire per Danzica e poi caddero in posti sconosciuti per la difesa della Francia, dell’Europa e del mondo civile. Se lei è consapevole che ci sono un aggressore e un aggredito il suo voltarsi dall’altra parte somiglia al “me ne frego” irresponsabile e pavido. È come se davanti a una malattia, si potesse non scegliere: né con il medico né con la malattia. E il Né Né non è pacifismo, ma il modo peggiore, il più ipocrita di stare con Putin, perché è starci fingendo di non starci. Purtroppo la retorica delle buone intenzioni ha sempre dei profittatori. Dove vuole che vadano i lupi e le volpi se non tra le colombe?