Dal 19 marzo al 31 luglio 2022 Fondazione Palazzo Strozzi e Musei del Bargello presentano Donatello, il Rinascimento.
Andate a Firenze, se volete vedere con i vostri occhi una «mostra impossibile». Impossibile perché ci sono in gioco sculture antiche (che pesano, che sono fragili, delicate, spesso inamovibili). Impossibile perché parliamo di Donatello – all’anagrafe Donato di Niccolò di Betto, nato a Firenze nel 1386 circa e morto nel 1466, dopo aver segnato per sempre il Rinascimento – cui da diversi decenni il nostro Paese non dedica una mostra specifica. Impossibile perché mette insieme – e su due sedi: Palazzo Strozzi e Museo del Bargello – una serie di nomi che tutti (anche quelli a stra-digiuno di arte) hanno sentito almeno una volta nella vita: Donatello, appunto, e poi i suoi contemporanei Brunelleschi (quello della cupola del Duomo di Firenze), Masaccio (non perdetevi, se siete in città, una visita alla Cappella Brancacci nella Chiesa di Santa Maria del Carmine), e poi ancora Mantegna, Bellini, Raffaello e Michelangelo.
Un intero compendio di arte rinascimentale toscana (parliamo di 130 opere tra sculture, dipinti, disegni) è ora in mostra in Donatello, il Rinascimento, una mostra irripetibile, curata con passione e competenza assoluta da Francesco Caglioti, docente alla Normale di Pisa, che mira a ricostruire il percorso eccezionale di uno dei maestri più importanti e influenti dell’arte italiana di tutti i tempi, a confronto con capolavori di altri artisti dell’epoca (fino al 31 luglio).
Scultore supremo del Quattrocento – considerato il «maestro dei maestri» – Donatello diede il via alla straordinaria stagione del Rinascimento, proponendo nuove idee e soluzioni figurative che hanno segnato per sempre la storia dell’arte occidentale. Visionario nell’uso della prospettiva (guardate questo Amore Attis che ridacchia), sperimentatore nei materiali. E, soprattutto umano, umanissimo Donatello.
La mostra propone un viaggio attraverso la vita e la fortuna di Donatello articolato in quattordici sezioni: si comincia dagli esordi e dal dialogo con Brunelleschi, proponendo il confronto tra i due celebri Crocifissi lignei provenienti dalla Basilica di Santa Croce e da quella di Santa Maria Novella, passando attraverso i luoghi in cui Donatello ha lavorato (Siena, Prato e Padova, Firenze) per approdare a una sezione in cui si dimostra la sua influenza verso Raffaello, Michelangelo e Bronzino, testimoniando così l’importanza capitale della sua opera per le vicende dell’arte italiana.
«Abbiamo lavorato per creare quella che poteva sembrare una “mostra impossibile”: la più completa ed esaustiva rassegna su Donatello mai realizzata, un’impresa unica e ambiziosa, nata grazie alla collaborazione delle istituzioni culturali italiane più prestigiose e dei musei più importanti di tutto il mondo», ci ha detto Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi e come si fa a non dargli ragione?
Tutto magnifico, dunque.
E però uno potrebbe dire: ma che cosa c’entra con noi, oggi, Donatello?
Abbiamo molto da imparare dal suo genio. Donatello fu uno spirito decisamente controcorrente, moderno e trasgressivo. Se ne infischiava delle mode e del gusto dell’epoca (anche nella sfera privata, con i suoi garzoni di bottega, era libertino), perché ricercava una nuova visione del mondo. Fu il primo a cercare di fissare sul marmo (quel marmo che appena appena accarezzava con lo «schiacciato», un bassorilievo sottile sottile, ma perfetto per dare l’illusione della profondità) la psicologia dei soggetti che ritraeva. Donatello era uno che amava andare «dentro le cose del mondo».
«La sua grandezza? Essere stato il più cinematografico dei rinascimentali. Guardi le prospettive di Brunelleschi o di Raffaello e vedi tutto da fuori. Donatello invece ti prende dentro, ti porta dentro l’azione. Straordinaria la sua modernità», ci spiega il curatore Francesco Caglioti.