(Gianluca Mercuri, corsera) Da settimane, di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si discute della madre di tutte le sanzioni: l’embargo su gas e petrolio russo. Alcuni osservatori hanno però messo in discussione la reale portata di una simile mossa. Ora però è arrivato Andrei Illarionov.
Chi è Andrei Illarionov? È la figura più adatta a raccontare gli ultimi trent’anni di storia russa, la transizione fallita, le illusioni sul putinismo. Di Putin fu il massimo consigliere economico all’alba del millennio. A poco a poco capì che la transizione come la intendeva Vladimir portava dritti all’autocrazia. All’inizio del 2005, la strage di Beslan lo indusse alla rottura: far morire oltre 300 bambini con l’assalto delle teste di cuoio alla scuola presa in ostaggio, gli parve — a ragione — non solo il modo in cui Putin volle mostrare il suo pugno di ferro, ma soprattutto la prova che da quel momento l’avrebbe perpetuato, il pugno di ferro, in un progressivo degrado dello stato di diritto. Così si dimise dal posto strategico di rappresentante della Russia nel G8, e la Russia perse uno dei suoi tecnocrati più brillanti.
Ora Illarionov lavora a Washington e, in un’intervista alla Bbc, chiarisce i dubbi agli scettici: «Se i Paesi occidentali provassero ad attuare un vero embargo sulle esportazioni di petrolio e gas dalla Russia, scommetterei che probabilmente entro un mese o due, le operazioni militari russe in Ucraina, probabilmente cesserebbero. Sarebbero fermate».
Insomma, se non fosse chiaro: un vero embargo energetico è l’arma letale per sconfiggere Putin e salvare l’Ucraina.
Illarionov aggiunge note personali sul leader del Cremlino che non sorprendono, eppure impressionano venendo da un testimone diretto: «Le sue ambizioni territoriali, le sue ambizioni imperiali, sono molto più importanti di qualsiasi altra cosa, compresi il sostentamento della popolazione russa e la situazione finanziaria del Paese».
A suo giudizio, la promessa putiniana di dimezzare in pochi anni la povertà, che attualmente è la condizione in cui vivono 20 milioni di russi, si tradurrà nel suo opposto: «Vedremo probabilmente raddoppiare il numero di quelle persone, forse anche triplicare».
Dati e stime vanno in quella direzione: contrazione dell’economia tra l’8 e il 15% entro l’anno; due milioni di posti di lavoro a rischio; disoccupazione record, inflazione alle stelle, già al 15,7%. Prodotti base come zucchero, cavoli e cipolle sono aumentati anche del 40%. Un altro ex putiniano ora anti, l’ex ministro dell’energia Vladimir Milov, spiega che questo «significa che la gente potrebbe smettere di spendere soldi per cose come palestre e pasti nei ristoranti e questa è una cattiva notizia per molte piccole imprese».
Ma paura, repressione e propaganda possono contenere gli effetti di questa situazione sugli umori popolari. Solo l’arma letale potrebbe smuovere le cose con rapidità. Nell’elencare «i buchi delle sanzioni», quelli che consentono alla Russia di reggerle, l’Ispi (con dati ripresi dal Dataroom del Corriere) ricorda che «alla Russia è stato sufficiente ridurre di un 20-25% le proprie forniture di gas naturale all’Ue perché i prezzi a pronti schizzassero alle stelle, per assestarsi oggi a valori quintupli rispetto al periodo pre-crisi». Per questo, «alla scarsità di sanzioni europee nel settore energetico corrispondono ingenti entrate per Mosca. Entrate che, grazie anche all’effetto guerra, sono addirittura aumentate rispetto a un anno fa. Se a marzo dell’anno scorso i ricavi della Russia derivanti dalle esportazioni di petrolio e gas non raggiungevano i 10 miliardi di euro, il mese scorso le entrate russe avevano superato i 15 miliardi. La causa di questo aumento? Il prezzo del gas alle stelle. Che ha consentito a Mosca di compensare (e oltre) le mancate entrate sul fronte del petrolio».
L’arma letale c’è. Azionarla non è semplice, i contraccolpi pericolosi. Però almeno sappiamo che c’è.