Ha scritto qualche giorno fa su Twitter Sandro Brusco: «La Meloni non è pericolosa perché riporterà il fascismo. È pericolosa perché riporterà Tremonti. Le cui pessime idee, comunque, non hanno mai abbandonato le classi dirigenti italiane, di destra, centro, sinistra e di quel guazzabuglio del M5S. Il vero pensiero unico».
Brusco insegna Economia alla Stony Brook University di New York e, come altri suoi colleghi italiani, espatriati professionalmente oltreoceano e confinati politicamente nell’oltremondo dell’attivismo digitale, rappresenta quel pensiero liberista, cui da almeno due decenni l’escatologia tremontiana addebita la Grande Babilonia del mondo, in attesa dell’Apocalisse, cioè della rivelazione, che il poliedrico ex (e forse neo) ministro dell’Economia si impegna a diffondere e propiziare con un intenso magistero pubblicistico-politico.
Dopo l’ufficiale ridiscesa in campo di Tremonti, del post di Brusco la cosa più importante e interessante non è il giudizio che rinnova contro il grande inquisitore della globalizzazione ça va sans dire selvaggia, ma la denuncia, quanto mai veritiera, che la religione dell’anti-libero mercato non è una forma di opposizione eroica al pensiero unico mondiale, ma rappresenta, in Italia, la forma più caratteristica del pensiero unico nazionale.
Qualche tempo fa avevamo evidenziato, scorrendo la piattaforma di una manifestazione della Fiom, come le parole d’ordine del sindacalismo antagonista coincidessero sostanzialmente con quelli della destra brutta sporca e cattiva e non c’è nulla come il Tremonti-pensiero che dia ragione di questa identità.
La tesi di fondo è che l’integrazione economica internazionale non è un fenomeno indotto da profonde e irreversibili trasformazioni tecnologiche e demografiche, ma è stato prodotto dalla rottura traumatica del legame tra economia capitalistica e sovranità politica, cioè dell’unico possibile fattore di equilibrio tra le ragioni dei mercati e quelle dei popoli.
Questa rottura, per Tremonti, non è avvenuta naturalmente, ma è stata determinata dolosamente erodendo la funzione degli stati nazionali e sottraendo ad essi il controllo delle principali leve del potere: la moneta, la disciplina dell’economia e il presidio dei confini.
L’Unione europea, la BCE e gli altri organismi internazionali che esercitano la sovranità sottratta agli stati sono per Tremonti il nuovo Leviatano, e il loro potere arbitrario non è esercitato da un sovrano, ma da un sistema impersonale, altrettanto assoluto e ancora meno controllabile e sospettabile, perché anticristicamente travestito con i panni del garante della pace e della prosperità mondiale, non di un re capriccioso o di un regime ufficialmente asservito agli interessi del grande capitale internazionale.
Il potere reale del mondo – concentrato nel mondo della finanza transnazionale – è dunque anonimo e invisibile, ma pervasivo e implacabile e c’è da pensare che Tremonti solo per ragioni di copyright non lo chiami SIM – Stato Imperialista delle Multinazionali – intramontabile feticcio della rivoluzione armata proletaria e, con altre denominazioni, degli immaginari fascio-clerico-comunisti in guerra contro il liberismo.
Esattamente come gli antiliberisti di sinistra, anche il maître à penser della destra italiana pensa che la subordinazione della politica all’economia abbia comportato una degradazione etica della società. Non ci sono più i valori di una volta, di cui la politica dettava i fini e a cui l’economia forniva i mezzi. I valori ormai sono proiezioni fantastiche di una libertà irreale o meri prodotti di consumo e la fine delle identità personali, sessuali, familiari, religiose e nazionali è esattamente il fine di questa attività di distruzione di ogni corpo individuale e collettivo in grado di opporsi alla dittatura del mercato.
Da questo punto di vista l’antropologia tremontiana è decisamente più reazionaria di quella di sinistra, ma, viste le premesse, anche più coerente, giacché se ad esempio si ritiene che le migrazioni siano un effetto del disordine del mondo o il cavallo di troia della dominazione super-capitalistica è difficile politicamente salutarle con una generosa indulgenza multiculti. Più logico, a quel punto, credere alle fregnacce del piano Kalergi.
In ogni caso, parlare oggi del ritorno di Tremonti è per lo meno inesatto. Tremonti non se n’era mai andato, la sua egemonia culturale è rimasta per un ventennio intatta e decisamente trasversale.
(scoppetta) Tremonti lo conobbi quando lessi il suo libro “Le 300 tasse degli italiani”. Era un tributarista e tra il 93 e il 97 quando Ferdinando Adornato, Willer Bordon e altri fecero “Alleanza democratica”, scrisse una parte del programma. Lo persi di vista e lo ritrovai con Berlusconi. Ohibò. Corrado Guzzanti ne fece una imitazione che ancora oggi rimane il suo ritratto. Il soggetto è particolare, si pensi che, si racconta, quando prende lo stipendio di parlamentare lo vuole in contanti. Ma la sua peculiarità è sempre stato il linguaggio oscuro e oracolare. Non capisci se è di estrema destra o estrema sinistra, infatti piace a tutti gli estremisti. Non piace a Berlusconi che ad un certo punto capì di essere diventato suo ostaggio. Il tipino infatti, pur mettendo nel conto che ogni ministro del Tesoro è un Signor NO, è molto preso di sè e se gli danno un ministero crede di poter comandare l’Italia, l’Europa e il Mondo. Non è un presuntuoso, è follemente innamorato del potere. Per concludere: ambisce ad un enorme potere personale per contrastare il potere impersonale che secondo lui comanda il mondo