Commentare i risultati elettorali in Italia è uno sport praticato dai sofisti. In filosofia, il sofisma è un ragionamento apparentemente valido ma non concludente perché contrario alle leggi stesse del ragionamento; o anche ragionamento che, pur partendo da premesse vere o verosimili e rispettando le leggi del ragionamento, giunge a una conclusione inammissibile, assurda (per es., gli argomenti di Zenone contro il movimento). Per fare un solo esempio, state leggendo e ascoltando dovunque che Conte, cioè la Lega Sud, ha vinto perchè ha dimezzato i suoi consensi del 2018. Se uno vince pur passando dal 32% al 15% vuol dire che non c’entrano la logica e neppure i numeri. Un altro esempio, Calenda ha perso perchè non ha ottenuto il 10%, quando tutti sanno che ha fatto un piccolo miracolo e che ha sottratto a Letta una percentuale che gli avrebbe fatto molto comodo.
Secondo quanto evidenzia Youtrend nell’analisi dei dati :”Il Movimento 5 Stelle vince nelle città con un tasso di disoccupazione tra il 10 e il 15 percento e anche Forza Italia segna successi al crescere del numero di disoccupati”.
Al contrario si legga questa “incredibile” analisi di Pietro Bellantoni (LaC news) “I calabresi non vogliono sentir parlare di agenda Draghi. Il trionfo del M5S, primo partito in regione con il 29,4%, unito al risultato di Fdi (19%), consegna una prima verità: le due forze che, con tempi e modi molto diversi tra loro, si sono caratterizzate come le più antitetiche rispetto al governo di unità nazionale arriverebbero, insieme, quasi al 50% dei voti. Il dato diventa ancora più significativo se si aggiunge il risultato di Forza Italia, il partito che, insieme alla Lega, ha tolto la spina al Governo pur senza distaccarsene troppo, dal punto di vista del programma, in campagna elettorale”.
Ma cosa c’entra l’agenda Draghi che i calabresi ignorano cosa sia, se il M5S e Fi altro che antitetiche facevano parte del governo? Ai calabresi disoccupati piace il reddito senza lavoro, è così difficile dirlo? Quanto a Fi ha dimostrato prima eleggendo il Governatore e poi l’indebitato fratello la sua rete regionale di potere, cosa c’entra Draghi in tutto questo? Insomma, i confronti non si fanno con i numeri delle elezioni politiche precedenti ma si fanno ponendo come termine di paragone aspettative, desideri, sondaggi e qualsiasi cosa, magari anche il nulla. Quando Monti nel 2013 si fece un partito e si presentò alle elezioni prese il 9% e allora decretarono che era stato un fallimento (col senno di poi fu un successo perchè dal niente portò in parlamento una comunità). Ma Draghi non si è presentato, perchè allora si dice oggi che è stato sconfitto? Come scrive Verderami sul Corsera, “un conto è vincere, altra cosa è governare, altra cosa ancora è durare”.
La Meloni è attesa da una prova che, ribadisco, non augurerei al peggiore nemico, mi auguro che non ci porti a sbattere con la sua Polonia (quantomeno però come i polacchi sarà contro Putin, così dovrà tenere a bada i filoputiniani Salvini e Berlusca).
(Verderami) “Sull’altro fronte si registra la crisi del Pd, che si trova ora insidiato alla sua sinistra da Conte e alla sua destra dal duo Calenda-Renzi. Il compito di Letta era tutt’altro che facile: un anno e mezzo fa aveva ereditato una segreteria che Zingaretti aveva lasciato dicendo di «vergognarsi» del partito. Il resto lo hanno fatto una serie di errori tattici e strategici che lo hanno consegnato «nudo» alla sfida con Meloni. E ora la politica gli presenta il conto, dentro e fuori il Nazareno. Da una parte si trova il leader del Movimento: nonostante M5S abbia dimezzato i voti rispetto a cinque anni fa, Conte avrà la possibilità di fare sponda con quella parte dei democratici desiderosa di aprire una nuova stagione di rapporti con i grillini sul modello Mélenchon. Dall’altra i vertici di Azione puntano a diventare il polo riformista per attrarre quella parte dei dem che non è intenzionata ad accettare una deriva radicale.
Per Calenda e Renzi il risultato elettorale va letto come il primo atto di un processo che si dispiegherà in Parlamento. Tra Scilla e Cariddi, il Pd rischia invece di spaccarsi. E la conta dei voti sarà determinante, perché — come raccontava nei giorni scorsi un autorevole esponente democrat — «se staremo sopra la quota del 20% potremo cercare in qualche modo di gestire la fase. Ma se dovessimo andare sotto quella soglia, il partito sarebbe destinato a implodere». Perciò la legislatura si preannuncia epocale. A destra come a sinistra.
( scoppetta) Per quel che mi riguarda, da anni sostengo che il pd dovrebbe spaccarsi in due parti, i riformisti dovrebbero formare un partito lib-lab con Bonino, Renzi e Calenda; e i massimalisti andare a lavorare con il loro amico Giuseppi Intillimani (Lega Sud). Fassina, De Petris, Montanari, Bersani, D’Alema, Travaglio, Provenzano, Orlando, Boccia, Zingaretti, Bettini, che si ricongiungano al punto di riferimento fortissimo dei progressisti, quello (non dimenticatelo mai) che quando gli chiesero se avrebbe votato per Macron o per la Le Pen rispose: ma io non sono francese. Uno così progressista che ci ha tenuto a precisare “non si dica che Putin non vuole la pace”. Che Putin voglia la pace qualsiasi sofista al mondo può argomentarlo