La sinistra non può continuare, secondo il filosofo Roberto Esposito (su Repubblica), a coniare proclami universali. Deve tornare a declinare l’eguaglianza su questioni concrete – salute, scuola, salari, servizi, diritti.
Ciò che oggi si fa fatica ad accettare, da chi pure milita a sinistra, è di essere “parte”, di rappresentare interessi “particolari”, e non la totalità. Certo, anche per la sinistra, come per la destra, la società è un tutto, un insieme che non va spaccato in fazioni contrapposte. Ma questa totalità può, anzi deve, essere guardata da prospettive differenti, che divergono sulle finalità che propongono, sui ceti che rappresentano, sui valori che proclamano.
Fin qui Esposito. L’unico problema della sinistra dovendo scegliere i ceti da difendere (interessi particolari) è allora secondo me il seguente: il rischio di scegliere “minoranze” che poi quando si va a votare non ti fanno, per il loro numero esiguo, vincere le elezioni. Se la sinistra, per cominciare a fare esempi comprensibili, difendesse (Dio ce ne scansi e liberi!) i presidi di scuola, i 7 mila dirigenti anche se ti votano tutti sono una goccia rispetto ai 684mila insegnanti di ruolo. Ne consegue quindi che sulla scuola ogni parte politica per conquistare il consenso starà sempre dalla parte degli insegnanti e del personale Ata e andrà contro i presidi. Ma oltre ai numeri c’è il peso specifico. Attenzione, ci sono lobby nel nostro paese potentissime, che hanno una influenza elettorale grandissima rispetto ai numeri in campo. Pensate ai balneari, che sono poco più di 7000, e i tassisti, che sono 40mila, mentre ha peso politico nullo, per dire, il personale Ata in servizio nelle scuole che anni fa contava 131.114 unità. Al contrario gli agenti (poliziotti e carabinieri) che sono all’incirca 306 mila sono sempre ben rappresentati come lobby. E ci credo. Però non bastano 2 arresti al giorno e 4300 in sei anni. L’Italia, secondo dati 2020 del Ministero dell’Interno, è abitata almeno da 700 gruppi criminali organizzati: famiglie mafiose, ‘ndrine e clan di camorra. In Sicilia sono circa le 200 cellule della criminalità organizzata, soprattutto nel Palermitano, altri 200 gruppi sarebbero attivi in Campania, dalla città di Napoli fino alla provincia di Benevento, oltre 200 in Calabria, in particolare nel Reggino, un centinaio in Puglia e una dozzina in Basilicata.
Una volta il Pci era il partito dei lavoratori. Ora, è vero che su 59 milioni e 236mila italiani residenti sono 23 milioni e 722mila gli italiani che lavorano e mantengono tutti gli altri, il 39%. Ma quasi 13 milioni di residenti sono inattivi e questo significa che esiste un 21,5% di non lavoratori. Per cui, un partito può scegliere, di rivolgersi ai lavoratori con i loro problemi contrattuali, oppure di corteggiare e favorire quel 21% di residenti che potrebbe lavorare ma non lo fa. Praticamente su dieci persone sono solo quattro quelle che lavorano. Ad un partito conviene di più stare dalla parte di chi lavora (che sono 4) o dalla parte di chi non lavora (che sono6)? Certo, tra i 6 che non lavorano dobbiamo considerate tutte quelle persone o troppo giovani o troppo anziane per “timbrare il cartellino” ma anche una parte (non piccola) di persone in età lavorativa che sono inattive e che sono 12 milioni e 752 mila. Questo vuol dire che il 21,5% della popolazione residente potrebbe lavorare ma non lo fa. Le ragioni? Impedimenti per studio e famiglia, ma anche un senso di scoraggiamento che dopo la pandemia è stato acuito dalla crisi energetica. Ma analizziamo allora le categorie.
OCCUPATI Anche per questa categoria un partito può scegliere di rivolgersi a quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato (nel 2022 sono 15 milioni e 56mila, circa i due terzi); oppure ai lavoratori dipendenti a tempo determinato che sono invece molti di meno: 3 milioni e 185 mila, in aumento rispetto al 2021 quando il loro numero si fermava a 2 milioni e 897mila. Un numero piccolo che mostra come sia necessario potenziare i contratti a tempo determinato e diminuire quelli stagionali, a somministrazione (l’ex contratto a chiamata) e quelli a progetto. La ragione? E’ che il contratto a tempo determinato è quello con la conversione più alta in indeterminato, come evidenziato da uno studio di Bankitalia.
DIPENDENTI STATALI Un altro bel bacino da tutelare è quello dei dipendenti statali che sono 3milioni372 (uno ogni 18 italiani). A loro tradizionalmente pensano i sindacati e quindi il pd, mentre alle partite Iva che sono 5 milioni in Italia ci pensa la destra.
INATTIVI (NON DISPONIBILI A LAVORARE) Sono inattivi (non occupati che non cercano un’occupazione), dai 15 anni in su, ma avrebbero l’età per lavorare: 12 milioni e 752 mila, pari al 21,5% della popolazione residente. Di questi la grande maggioranza, circa 7 milioni, dichiara di non cercare offerte di lavoro e di non essere disponibile a lavorare: si tratta di coloro che, pur essendo in età lavorativa, se gli venisse offerto anche solo un lavoretto in regola lo rifiuterebbero. Tra questi, poco meno di 4 milioni ha motivi familiari per non cercare occupazione, come l’assistenza a un anziano o l’accudimento dei figli, mentre 4 milioni e 400 mila circa adducono motivi di studio e formazione. In tale categoria vi sono, immaginiamo, gli studenti universitari e quelli degli ultimi anni delle superiori. Per capirci, tutti i consensi ai grillini vengono da questo comparto.
DISOCCUPATI Infine, ci sono i disoccupati veri e propri, cioè le persone che non hanno un lavoro ma lo cercano. Sono una assoluta minoranza: al primo trimestre 2022 sono 2 milioni e 174 mila persone, pari al 3,6% dei residenti. Di questi 505mila hanno dai 50 anni in su.
LAVORATORI IN NERO Sono 3,5 milioni i lavoratori irregolari e in nero. Secondo le tabelle Istat pubblicate nel 2021 l’economia sommersa vale 183 miliardi. Si badi, questi lavoratori sono sempre pagati in contanti.
Come si vede da queste cifre non è che un partito se mette al primo posto il problema di creare “lavoro” nel suo programma avrà tanti interessati che lo seguono. Non sono interessati i lavoratori in nero, gli occupati e gli inattivi. Lo sono realmente solo poco più di 2 milioni di italiani. Già i lavoratori indipendenti e autonomi sono più del doppio, 5 milioni, pertanto per un partito più che “partito dei lavoratori” è preferibile oggi raccontarsi come “partito degli autonomi”. Ancora meglio, piuttosto che definirsi partito dei lavoratori o delle partite iva oggi è preferibile chiamarsi “partito degli inattivi”, che sono il 21,5% della popolazione, un comparto di quasi 13 milioni di italiani.
OCCUPATI 23.722 (mil)
Dipendenti 18.236
– permanenti 15.560
– a termine 3.185
Indipendenti (partite Iva) 4.977
Disoccupati 2.174
Inattivi 12.752
Lavoratori in nero 3,2