Per quale ragione Enrico Letta ha buona stampa

Tutti quelli che si occupano dei media e di comunicazione dovrebbero provare all’inizio del 2023 a rispondere alla seguente domanda che un articolo di Francesco Cundari su Linkiesta ha formulato. Come è possibile che Enrico Letta abbia così buona stampa, dopo tutto quello ha fatto al pd, quando due ex segretari come Bersani e Renzi sono stati rimossi per molto meno e Zingaretti ha lasciato la segreteria schifato?

Invece di pilotare il Pd fuori dal vicolo cieco in cui l’aveva cacciato Zingaretti, infatti, Letta non ha fatto altro che confermarne tutte le scelte di fondo. Ragion per cui, peraltro, nessuno ha più capito per quale ragione il Pd non potesse tenersi Zingaretti. Dopo avere portato il Pd al minimo storico (sia pure camuffato dalla scelta di aprire la lista anche ad Articolo 1 e ad altri soggetti minori, con i quali ha raggiunto comunque un non ragguardevole 19,1 per cento, cioè 0,4 punti in più del 2018), Enrico Letta ha potuto annunciare l’intenzione di restare al suo posto altri cinque o sei mesi per organizzare niente di meno che la rifondazione del partito, senza che praticamente nessuno ci trovasse niente da ridire.

Letta è coccolato dalla stampa, invece dal giorno della sua elezione a segretario del Pd nel 2009 fino alle dimissioni nel 2013, Pier Luigi Bersani ha goduto di pessima stampa. La caricatura del burocrate di partito, grigio, noioso e incapace di comunicare lo ha perseguitato sin dal primo giorno e ha contribuito non poco a facilitare l’ascesa di Matteo Renzi, che in quello stesso periodo raccoglieva un successo di critica incontenibile (meno di pubblico, tanto è vero che le primarie contro il grigio Bersani, nel 2012, le perse 60 a 40).

In compenso, da quando la sua stella ha cominciato a declinare, nessuno ha goduto di un trattamento peggiore del leader di Italia Viva sui mezzi di comunicazione (almeno dai tempi di Tangentopoli in poi); mentre, per una strana simmetria dei loro destini, proprio il grigio Bersani diventava il cocco di giornali e talk show che è ancora oggi che non conta nulla.

Da segretario del Pd, Bersani è stato impiccato a qualunque fesseria, a cominciare dal celeberrimo video del giaguaro, una scemenza cui gli avversari interni e gli editorialisti antipatizzanti hanno dedicato analisi minuziose, specialmente dopo la non-vittoria elettorale, neanche fosse stato il Watergate.

L’elenco delle fesserie cui hanno impiccato Renzi, una volta che la fortuna ha girato, è lungo: dall’aumento dei sacchetti di plastica nei supermercati al complotto della Jp Morgan (se non vi ricordate nemmeno di che si tratti, l’unica cosa che posso dirvi è: appunto). Entrambi i leader sono usciti di scena, perlomeno come segretari del Pd, tra salve di fischi e critiche feroci.

Eppure nessuno allora, almeno tra gli osservatori in buona fede, poteva avere il minimo dubbio sul fatto che il Partito democratico sarebbe sopravvissuto, e infatti in entrambi i casi non solo è sopravvissuto, ma se l’è passata anche piuttosto bene, governando per la quasi totalità del tempo, circa nove anni su dieci dal 2013 a oggi.

Sfido chiunque a dire lo stesso della condizione in cui Letta lascia il Pd (quando si deciderà a lasciarlo). Eppure nessuno, né tra i commentatori né tra i dirigenti, e nemmeno tra coloro che aspirano a prenderne il posto, ha avuto finora il coraggio di dire che il re è nudo, far scoppiare la bolla, discutere seriamente di quel che è accaduto con un grado di sincerità e anche di brutalità minimamente proporzionato alla gravità della situazione.

Qualcuno invita a discutere delle responsabilità di Renzi (che se ne è andato nel 2019), qualcuno della crisi del capitalismo neoliberista (neanche questa, obiettivamente, una novità dell’ultimo minuto), qualcuno del ruolo dei sindaci e qualcun altro del voto online, cioè di come mascherare sin d’ora anche l’ennesimo, prevedibile fiasco: quello dell’affluenza ai gazebo. Altri due mesi così, e viene da pensare che i sondaggi di oggi sul pd sembreranno persino ottimisti.