Non sono neanche passate 72 ore dal ritorno nel Partito democratico e i deputati di Articolo 1 si sono spaccati sul sostegno all’Ucraina. Scotto e Stumpo si sono smarcati. Ovvero l’unico tema su cui i dem avevano mantenuto una linea comune. Ormai il Nazareno è come un albergo con le porte girevoli
Sulla guerra ucraina da una parte ci sono Giuseppe Conte e l’estrema sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Sono contro il filoatlantismo e chiedono (a chi?) la trattativa.
Non è chiaro se nel pd Elly Schlein nei prossimi giorni insisterà a differenziarsi: «Penso che la guerra non si risolva con le armi – ha detto da Lucia Annunziata pur confermando il voto favorevole al decreto – sono contraria alla corsa europea al riarmo». Una posizione che tra i quattro candidati è isolata, ma forse nel corpaccione del partito non così tanto.Non c’è da stupirsi se sull’Ucraina Elly Schlein punti a raccogliere consensi su una linea più aperta ed esplicita riguardo alla necessità di una trattativa per la pace, una posizione che è stata definita più pacifista di quella ufficiale seguita dal Partito democratico, la linea Letta-Guerini schierata senza se e senza ma a fianco della Resistenza ucraina anche con le armi.
È possibile che su questa questione si giocheranno voti importanti sia nei circoli del Pd sia soprattutto nelle primarie, e sarà bene che le differenze su una questione epocale come questa emergano chiaramente.
D’altra parte molti lamentano, e non senza ragione, che i quattro candidati appaiano politicamente indistinguibili ed è probabile che questo non giovi a nessuno di loro: ecco perché non sarebbe inverosimile se con l’avvicinarsi del voto dei circoli e poi alle primarie si evidenziassero le differenze. Sull’Ucraina non sono mai esplose, ma chiaramente esistono.
Anche se è certo che la linea della fermezza verrà in questi giorni confermata alla Camera, dove si sta convertendo il decreto che prolunga gli aiuti militari sino a tutto il 2023, con il Pd che su questa partita assicura l’asse con la maggioranza e il Terzo Polo, isolando ancora una volta .
Da parte sua Stefano Bonaccini, il gran favorito del congresso dem, ha una linea diversa da quella della sua ex vice in Regione Emilia-Romagna e principale sua competitor, ma anch’egli deve tenere conto degli umori della base ed evitare dunque di passare per il falco filo atlantico contro la giovane pacifista, e dunque non sottovaluta il richiamo alla trattativa: «La mia posizione è sempre stata netta – spiega Bonaccini a Linkiesta – nessuna ambiguità sulle responsabilità della guerra e sulla necessità di proseguire con l’invio delle armi. Mentre sosteniamo la Resistenza ucraina, le diplomazie, che sono già al lavoro, devono cercare di trovare un’intesa prima possibile, nell’interesse degli ucraini prima di tutto».
Già, la trattativa: peccato che purtroppo non sia una questione realistica, oggi che semmai il tema che l’Europa si sta ponendo riguarda l’intensificazione degli aiuti militari, con la nota riottosità della Germania all’invito dei famosi Leopard. Anche Gianni Cuperlo, che è da sempre più articolato di altri, ha detto chiaramente che «se l’Ucraina smette di difendersi smette di esistere, se la Russia smette di combattere smette la guerra» mentre Paola De Micheli è da sempre sulla linea ufficiale del partito.
Eppure col passare dei mesi e di fronte al perpetuarsi dei massacri in Ucraina nell’elettorato del Pd serpeggia un dissenso, o quantomeno una insofferenza, sulla linea dell’invio di armi a Kyjiv, linea peraltro sostenuta con risolutezza dal governo Meloni e dal suo ministro della Difesa Guido Crosetto (ha annunciato il sesto pacchetto di aiuti che – ha specificato – «verrà sostenuto da quasi tutto il Parlamento»), circostanza che non spinge certo i pacifisti dem alla pazza gioia.
Adriano Sofri da par suo ha analizzato i concetti espressi da Domenico Quirico su la Stampa. “A questa conclusione Quirico sembra pervenire: “In realtà / Zelensky / sa che l’unico spettatore in prima fila che conta è Biden. Perché è dagli Stati Uniti che dipende la sopravvivenza del suo Paese e il suo personaggio; dalla volontà americana di preservare la centralità della onnipotenza americana in campo internazionale contro qualsiasi tentazione anti egemonica. Il tutto senza l’uso diretto della forza che comporti anche minime perdite americane”.
Se non fraintendo, qui si dicono diverse cose. Che “la sopravvivenza del suo Paese”, l’Ucraina, dipende dagli Stati Uniti: è vero, anche se vi si vorrebbe aggiungere un “soprattutto”, per non relegare all’irrilevanza piena il contributo degli alleati. Che “la volontà americana” è di preservare la “centralità della propria onnipotenza” (un’iperbole, diciamo), e di ripudiare un eventuale proposito negoziale come una “tentazione anti egemonica”: facendo dunque di Zelensky niente di più né di meno che il docile attore della Proxy War permanente. (E che per giunta dalla Guerra per procura il sacro egoismo degli americani si garantisce di non mettere in gioco nemmeno una vita propria).
“Gli americani”, ce ne guardi Iddio, che dai nemici ci guardiamo noi. Ma così stando le cose, davvero all’attore Zelensky, o a chi per lui, si può chiedere, “sfruttando le evidenti debolezze russe, di saper trattare i margini della vittoria”?