È noto che la forte crescita dell’inflazione è determinata principalmente dal prezzo del gas e dell’energia e di altri beni quali i cibi. Anche i prezzi dei servizi risultano in accelerazione, sebbene in modo più contenuto. Poiché però i beni di prima necessità incidono in misura maggiore sul bilancio delle famiglie meno abbienti (45% del bilancio), l’inflazione cresce di ben 5 punti percentuali in più per le famiglie meno agiate rispetto a quelle più agiate. Differenziali di inflazione così alti possono avere effetti importanti sulla diseguaglianza e sulla distribuzione del reddito e della ricchezza. Nel lungo periodo sono la produttività, le competenze, la tecnologia e il commercio internazionale a determinare le differenze tra redditi di persone diverse ma nel breve periodo l’inflazione conta eccome perché determina il potere d’acquisto dei redditi. Gli effetti sulla ricchezza possono essere anche controintuitivi: chi ha debiti viene avvantaggiato dell’inflazione che li svaluta, in primis lo Stato con il suo enorme debito pubblico; chi ha risparmi viene penalizzato. Ma per quanto riguarda la diseguaglianza dei redditi da lavoro l’inflazione lascia poche speranze.
Contrariamente a quello che spesso si narra, la diseguaglianza dei redditi da lavoro non aumenta in modo significativo in Italia da 30 anni a questa parte. È aumentata la povertà perché c’è più gente senza lavoro, ma la povertà misura un concetto diverso; la diseguaglianza di reddito per chi lavora non è aumentata dal 1992, non in modo strutturale, non in modo significativo. Dopo la crisi finanziaria del 2008 e poi del 2011 i redditi sono scesi per tutti e la diseguaglianza dei redditi non è aumentata. La diseguaglianza di reddito tra lavoratori aumentò significativamente solo nel 1992 quando ci fu l’espulsione della Lira e della Sterlina dallo SME. A seguito della svalutazione della Lira, l’indice di diseguaglianza fece un salto di ben 5 punti e poi non scese più, con i lavoratori dipendenti a basso reddito che pagarono i costi della perdita di potere d’acquisto. In quegli anni c’era una inflazione al 5% e fu definitivamente abolita la scala mobile che alimentava la rincorsa tra prezzi e salari. Questa fu la ragione per cui nel 1992 la svalutazione della Lira non provocò la ripresa dell’inflazione ma in quella crisi rimasero penalizzati i redditi da lavoro dipendente.
Agli economisti piace dare un nome ai periodi: i tardi anni 90 fino al 2008 furono gli anni della grande moderazione dove sembravano finiti i tempi del ciclo economico. Finché non arrivò il crash del 2008. Gli anni 2010 furono gli anni della grande stagnazione in cui c’era crescita con inflazione zero. Finché non arrivò la botta di inflazione del 2021-2022. I prossimi saranno gli anni della grande redistribuzione in cui il lavoro dipendente perderà terreno? Chi vivrà vedrà, ma per intanto domandiamoci cosa può fare il governo.
Per ora il Governo sta sbagliando proprio la direzione di marcia se il problema è difendere il lavoro dipendente dall’inflazione. Alza la flat tax per gli autonomi e si oppone a misure fiscali redistributive sulla rendita finanziaria o immobiliare. Si oppone al reddito di cittadinanza (che amputato dalla Meloni è peggio di prima) e alle misure pro-concorrenza che se intese come apertura alle opportunità di tutti sono misure pro-uguaglianza. Quando c’è l’inflazione, se puoi aumentare i prezzi di vendita salvi il tuo potere d’acquisto.
La letteratura sui margini di profitto (crescenti) ci dice che tra i settori in cui si fanno normalmente i ricarichi maggiori di prezzo ci sono i servizi professionali di tanti tipi (finanziari, legali, immobiliari etc.) e la produzione di energia.
Prendiamo due esempi pratici: il governo di fronte ai rincari della benzina se l’è presa con i benzinai, ma il problema sta a monte, i rincari stanno nel processo di raffinazione che oggi può fare margini di profitto molto maggiori (mentre il petrolio costa oggi come un anno fa, 85 dollari al barile, il processo di raffinazione del gasolio fa margini di 20-30 dollari al barile, 5 volte più dell’anno scorso). Non è speculazione ma un rincaro strutturale. Il governo insiste nel proteggere i balneari, ma ovvio che i balneari potranno aumentare i prezzi la prossima estate. I professionisti godranno della flat tax fino a 85 mila euro, ma anche loro potranno alzare le parcelle. I camerieri, i commessi come gli operai e gli impiegati no. Anche se avranno il rinnovo dei contratti, e non è detto che l’avranno, gli aumenti si riferiranno a periodi precedenti e non compenseranno in nessun modo l’inflazione.
Con un altro anno di inflazione così l’unica cosa da fare è quello che fece il governo Draghi con gli incrementi in cifra fissa per i redditi più bassi o l’abbattimento dei loro oneri sociali. Ma per trovare i molti soldi necessari bisogna abbandonare altre priorità come le pensioni anticipate e la flat tax che costituiscono gran parte della legge di bilancio di quest’anno.