La guerra in Ucraina? È solo una grande simulazione costruita dai media occidentali per attaccare la Russia di Putin.
Il Covid? Una leggera influenza, amplificata per imporre una dittatura sanitaria.
Le elezioni americane? Un furto per sottrarre la vittoria a Donald Trump.
Il riscaldamento globale? Normali fluttuazioni climatiche, esagerate da chi pretende ingiuste restrizioni al nostro stile di vita.
In quest’epoca di post-verità sembriamo aver perso la bussola che, fino a poco tempo fa, ci aiutava a trovare l’orientamento per distinguere il vero dal falso. Diventa sempre più difficile districarsi nel caos informativo crescente, e anche conoscenti, amici o famigliari, persone che ci erano sempre sembrate serie e affidabili, dall’oggi al domani iniziano a inseguire e a sostenere le idee più balzane, indifendibili se non palesemente false. Pensare che il mondo sia improvvisamente impazzito, magari per colpa del Web o dei social, però, sarebbe un errore. La tecnologia non fa altro che amplificare ciò che siamo e, in particolare, qualcosa che è profondamente radicato dentro di noi: il bisogno di credere. Si potrebbe infatti ricordare che da sempre gli esseri umani sono portati a credere a ciò che li fa stare bene, a ciò che li rassicura, a ciò che conforta i loro punti di vista, e a rifiutare ciò che non capiscono o che rischia di metterli in crisi. Ma sarebbe riduttivo.
Dunque, per capire che cosa ci porta a credere alle idee più incredibili o totalmente assurde, e che cosa ci induce a scambiare per prove convincenti quelle che sono solamente suggestioni, illusioni o, al massimo, convinzioni ideologiche o fideistiche, è necessario allargare lo sguardo e, magari, fare un lungo passo indietro nel tempo. Del resto, anche nella scienza si trovano sempre idee e teorie che sulle prime sembrano “incredibili”, ma che poi, con il progresso delle conoscenze e l’accumularsi delle conferme si rivelano molto credibili, dall’evoluzione al Big Bang, per citarne solo due. E, naturalmente, all’opposto, sono spesso esistite ipotesi e spiegazioni credute vere per decenni, in qualche caso per secoli, su entità mai osservate, e che si sono poi rivelate del tutto sbagliate: dall’idea del flogisto, che sembrava spiegare bene il fenomeno della combustione, a quella dell’etere, con cui si cercava di comprendere il propagarsi della luce.
Per capire come si formano le nostre convinzioni e le nostre credenze, e come il processo dell’evoluzione abbia trasformato il nostro cervello in un sistema formidabile per dare un senso al mondo, occorre dunque risalire alle origini. In fondo, ci basta poco: un collegamento casuale tra due avvenimenti del tutto scollegati, l’indizio di un’intenzione dietro un fatto occasionale… e si forma una convinzione, che si rafforza a posteriori e diventa certezza, grazie anche al rinforzo del gruppo cui apparteniamo e che condivide le nostre credenze. Spesso queste convinzioni sono fondate, l’esperienza le dimostra vere e queste scoperte ci permettono di far progredire le nostre conoscenze.
È un percorso che troviamo nella scienza, certo, ma anche nell’economia, nella politica, persino nell’amore. Altre volte, però, i medesimi meccanismi li vediamo in azione in coloro che credono di scovare complotti ovunque e si convincono che entità nascoste e malvagie manipolino il mondo a loro piacimento. Li ritroviamo in chi compie atrocità, ma è sicuro di essere nel giusto e di fare il bene dei suoi simili. Li riconosciamo in coloro che cercano conforto in idee come quella degli extraterrestri, considerati guardiani e protettori dell’umanità, ma anche in chi crede in entità spirituali, dagli angeli ai diavoli, agli dèi di ogni tipo, e dà spiegazioni sovrannaturali alla realtà.
Per quanto a volte ci possano sembrare assurde, però, queste idee hanno una loro funzione. In fondo, la costruzione e la condivisione di storie e miti sono alla base della civiltà e della cooperazione umana. E non serve nemmeno che tali storie siano vere: ciò che conta è che le crediamo vere. Se siamo riusciti a costruire città e società complesse, infatti, è solo perché grandi masse di persone hanno scelto di aderire agli stessi potenti sistemi di credenze politiche, ideologiche o religiose, vere o false che fossero.
Queste credenze sono come lenti attraverso le quali vediamo e interpretiamo il mondo e gli eventi che in esso si verificano. È questo il motivo per cui il medesimo fenomeno o accadimento può essere visto e interpretato in maniera radicalmente differente da gruppi di persone differenti. Subito dopo un attentato terroristico, per esempio, può esserci chi individua i responsabili in un gruppo rivoluzionario impegnato a seminare il terrore e chi, all’opposto, immagina si tratti di un’operazione segreta voluta dalla stessa nazione colpita: un pretesto per sopprimere ogni dissenso. Oppure, può anche esserci chi afferma che non ci sia stato nessun attentato e che si tratti solo di una simulazione mediatica. Le nostre credenze, insomma, hanno la capacità di trasformare la realtà che percepiamo; di conseguenza, chi non la vede come noi ci sembra irrazionale, ignorante o, peggio, in malafede. A volte questo porta a incomprensioni e discussioni, ma nei casi più gravi può motivare l’odio e la violenza, fino ad arrivare alla guerra.
Da “La scienza dell’incredibile” (Feltrinelli), di Massimo Polidoro, p. 256, 17€