Credo che nel 2023 abbiamo in Italia (a spanne) 7 persone su 10, non importa se in politica schierati a destra oppure a sinistra, che si definiscono anticapitalisti. Cosa significa in concreto? Significa che secondo loro c’è un sistema economico nel mondo migliore del capitalismo per far aumentare il benessere collettivo. Il punto è: qual è? Non si sa, anzi direi che non esiste.
Essi hanno in testa, beati loro, un bene comune e in nome di questo interesse superiore ritengono di poter dire agli altri cosa produrre, come produrlo, dove produrlo. A proposito di bene comune il capitalismo all’italiana arriva, per certe categorie, tassisti, farmacisti, notai, concessionari balneari, …a sottrarli alla concorrenza, oppure a concedere discipline speciali (ordini vari, giornalisti, sindacalisti, magistrati, alte cariche dello stato).
Anch’io dal 1969 (quando andai all’università) in poi fino alla caduta del Muro di Berlino (9/11/89), nel mio periodo ideologico, ho sognato un mondo dove la libertà si coniugasse con la giustizia sociale. Ce l’avevo col capitalismo che secondo me produceva troppa disuguaglianza tra gli uomini e i popoli, ma più che alla lotta di classe tra padroni e operai pensavo alla fame nel mondo, ad un meccanismo economico diffuso che assicurava a certi popoli pane e companatico e ad altri neppure il pane. Caduto il muro, tutto quello che avevo rimosso e tenuto dentro sin dagli anni settanta, tutti i miei malumori, sono riemersi. E mi sono detto: non ho capito nulla.
I paesi comunisti, Urss e Cina, erano per me paesi invivibili (guardavo i cinesi tutti vestiti allo stesso modo con la giacca di Zhongshang e pensavo che non fosse cosa per me), io amavo il rock ed Elvis e i Beatles, e mi toccava ascoltare “Contessa” di Paolo Pietrangeli o Pino Masi; negli anni settanta ai cantautori non veniva perdonato dai “compagni” di essere disimpegnati, e i concerti diventavano “processi”; il comunista era una sorta di San Francesco che invece che con gli uccellini parlava con i proletari e invece del saio aveva l’eskimo.
Ho capito la cosa fondamentale, che è questa: dovunque, anche in Italia, si è prodotta la ricchezza soltanto quando è stato deciso che l’autorità politica non deve entrare nelle decisioni di produzione. Col capitalismo è cresciuta la popolazione, è cresciuta l’occupazione e i beni di lusso ieri presenti nelle case di pochi sono diventati oggetti di uso comune per tutti. Ho capito inoltre che sia nella scienza che nel capitalismo chiunque intenda avanzare una sua ipotesi oppure intraprendere una iniziativa, deve poterlo fare. Saranno la comunità scientifica e i consumatori ex post a giudicarli. Il verdetto non dipende da chi è, ma da cosa fa.
Il capitalismo è stato capace di far diventare l’Italia in pochi anni un ricco paese industriale partendo da zero, da condizioni materiali postbelliche. Chi oggi si dichiara anticapitalista non so se abbia nostalgia dell’Italia degli anni cinquanta, o se ancora non ha capito che la ricostruzione, il benessere, il boom economico, lo dobbiamo agli imprenditori, a quella rete di piccole e medie industrie private (lontane dai giganti di Stato e dall’industria pesante volute dalle classi dirigenti) che sono state la nostra fortuna. La ricchezza dell’Italia diventata da paese distrutto e povero una potenza industriale la dobbiamo ai capitalisti.
A me il concetto appare così elementare ed ovvio che anche guardando alla Calabria di oggi ho una sola ricetta in testa per migliorarla e creare posti di lavoro: solo le società più ricche possono aiutare chi rimane indietro; occorre consentire ai capitalisti di creare capitale, attraverso imprese varie, e debellare chi invece distrugge il capitale, i mafiosi. I mafiosi, come dimostrano tutte le inchieste, nelle località più belle della Calabria soggiogano i capitalisti, imponendo loro condizioni, obblighi, pizzo, costringendo ad assumere quelli che vogliono loro, a rifornirsi da chi indicano loro e così via. E’ il feudalesimo che resiste all’età moderna. In Calabria gli anticapitalisti sono i mafiosi e tutti quelli che ci vanno a braccetto, mentre avremmo bisogno di imprese che accumulano, perchè i posti di lavoro aumenteranno solo aumentando la ricchezza. E invece no. In giro vedi tanti anticapitalisti che si piangono addosso e chiedono soldi o assistenza allo Stato (bonus, sussidi, leggi 104, prebende, pensioni) e all’Europa bancomat. Mance. La stessa vicenda del progetto “Ponte di Messina” dimostra che si possono spendere con costanza soldi a favore di gruppi di interessi anche se quel progetto non si materializzerà mai. E’ uno specchietto per le allodole, un vendere un oggetto che resterà solo sulla carta.
1)Le disuguaglianze nel mondo si sono ridotte, non aumentate. I poveri (sono quelli che vivono con 1,90 dollari al giorno) sono oggi il 10%, nel 1990 erano il 37%. Nello stesso periodo la popolazione mondiale è cresciuta di 2 miliardi di persone.
2) Quando ero giovane c’era chi voleva abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione, oggi in tanti a sinistra hanno riscoperto i benefici dello Stato direttore d’orchestra illuminato. La gioventù, si sa, ha il diritto e il dovere di essere scema (Guia Soncini). Con la stessa logica che sottintende ai piani urbanistici delle città (che nelle intenzioni dovrebbero rimediare all’anarchia e in sostanza fanno prevalere le scelte del decisore politico) si vuole indirizzare l’economia dall’alto. Come nelle peggiori aspirazioni di Berlusconi (ricordate? Ho fatto prosperare la mia impresa, adesso lo farò con lo Stato) si sta affermando l’idea “socialista” che la società deve diventare una grande impresa, un trust, per evitare l’anarchia del mercato e della finanza. In quest’ottica l’ultima moda politica è un reddito di base che dovrebbe esser dato per il fatto di esser vivi. Anche gente ragionevole è tornata a credere che l’imprenditoria pubblica nel nostro Paese sia meglio di quella privata. Cioè gli Scaroni, Cattaneo o Arcuri sarebbero meglio di Ferrero, Del Vecchio e Armani? Dalla Rai che ormai viene inglobata da chi vince le elezioni all’Enel, alla Tim, alla sanità, all’acqua, lo Stato si pensa debba controllare le grandi aziende perchè solo lo Stato pensa al “bene comune” (concetto che va comunque sempre interpretato, o no?).
Gli imprenditori sono cattivi perchè pensano al profitto, lo sterco del diavolo. L’economia pianificata leninista unita alla concertazione con i sindacati e al deficit di bilancio viene contrapposta all’arricchimento dei capitalisti ma anche al male della concorrenza (i tassisti ricattano i politici bloccando una città per mettere al bando Uber). La concorrenza non piace a nessuno, beninteso, dagli idraulici alle imprese ai docenti universitari. E’ troppo bello che sia un decisore politico a stabilire chi può fare una cosa escludendo altri.
3) L’idea cardine del keynesismo è stata quella che quando l’economia va male lo Stato deve immetterci un pò di risorse. Negli ultimi 50 anni però è successo che lo Stato si indebita quando l’economia va male (come nel caso dell’emergenza per la pandemia) ma anche quando l’economia va bene. L’indebitamento è diventato un prendere a prestito da noi stessi, fregare il futuro dei giovani per favorire i vecchi di oggi.
4) Se il bilancio può chiudere in deficit, malgrado l’art. 81 della Cost., non c’è più bisogno di scegliere, l’intervento pubblico non trova più dei limiti (vedi il ponte sullo Stretto). Ormai qualunque politico guida l’economia come si guida un’auto ma senza curarsi più di quanto carburante consuma, senza guardare più le spie o cambiare le gomme. All’autista (e a tutti noi) è stata indicata una meta ma poi quando l’auto ad un certo punto si ferma la meta diventerà quel luogo in cui ci si è dovuti fermare.
5) Insomma, il capitalismo, come ha scritto Alberto Mingardi, è il contrario del lockdown. In ogni fase di emergenza (la pandemia oggi ma la prossima sarà la transizione ecologica) le decisioni vengono prese dall’alto, sulla base dei pareri di presunti esperti scientifici, e si stabiliscono restrizioni, razionamenti, scelte tecnologiche, quali attività sono essenziali e quali no. E’ il dirigismo di chi dall’alto sa cosa deve fare l’intera società. L’illusione razionalista di chi decide per tutti. Il contrario del capitalismo che è invece un sistema nel quale le decisioni sono prese in modo decentrato, e dove c’è la libertà di scegliere e di farsi scegliere. Qualcuno preferisce un mondo in cui uno illuminato sceglie per tutti noi (in nome della salute, dell’ambiente, dell’ordine) io preferisco un mondo in cui un’azienda finlandese, la Nokia, prima ci ha venduto cellulari che in tanti ci siamo convinti ad acquistare, e adesso non sappiamo neppure più se li produca ancora. E’ il mercato, l’economia di mercato, in cui un singolo consumatore, come potrei essere io, o una singola azienda, come potrebbe essere la Nokia, può scegliere, decidere soluzioni, ma non determina alcunchè. Nel mercato si nasce ci si trasforma e si muore (nel capitalismo le decisioni sono prese dal basso e non da una cabina di regia) e il profitto remunera l’incertezza. Per ogni successo sono milioni i fallimenti.
6) I padroni sfruttatori della classe operaia per ottenere il profitto, rischiano. L’impiegato pubblico no. Costruisco porte blindate, arrivano i sistemi antiallarme e perdo il mercato. Se confrontiamo la lista delle 500 maggiori imprese americane del 1955 con la lista del 2019 vedremo che solo il 10% delle aziende ha resistito, il che significa che 9 grandi aziende su 10 a distanza di 70 anni non sono più tali. E’ un ricambio che consente di capire come funziona l’economia di mercato e la concorrenza. Questo dato va messo in relazione con l’idea di progresso che attiene al miglioramento delle condizioni di vita. Nell’Europa medioevale la speranza di vita era 30 anni, nel Novecento tra le due guerre, attorno ai 55 anni, oggi in Europa occidentale veleggiamo sugli 81/82 anni. Negli ultimi 250 anni abbiamo avuto a disposizione infinitamente più cose (beni e servizi) di quanti ne avessero i nostri nonni, e collaboriamo con molte più persone che non conosciamo, senza avere scopi comuni ma solo sulla base delle reciproche convenienze.
Vedo che molti pensano (senza dirti come) che lo Stato sia capace di scelte migliori di quelle che si fanno nel mercato. Ormai i valori culturali vanno in questa direzione e si comincia pure a capire perchè questo avvenga. Il sistema capitalista ci ha consentito una mobilità inimmaginabile (attraverso mezzi sempre più veloci) e così abbiamo perduto i punti di riferimento che avevamo nelle società tradizionali. Sono venute meno antiche certezze per cui ciascuno di noi cerca una compensazione entrando a far parte di qualcosa di più grande. Sia un movimento rivoluzionario oppure un’associazione religiosa, una causa politica o un comitato per il no, si tenta di radicarsi di nuovo in qualcosa perchè la nostalgia del paesello persiste sempre davanti all’alienazione della grande metropoli.