Ci siamo sbagliati: se ad Abbiategrasso uno studente accoltella un’insegnante non è perché è paranoico, convinto che la prof ce l’abbia con lui. Né perché i suoi genitori, piuttosto distratti, non si sono accorti che possedesse delle armi. Nemmeno perché a scuola non ci sono psicologi e, se ci sono, sono pagati poco e fanno quel che possono. E neanche perché è cattivo o quanto meno sceglie deliberatamente di compiere una cattiva azione. No, se un ragazzo che teme di ricevere il debito in storia prima inizia a spegnere a tradimento la lavagna multimediale, poi si mette a lanciare spray puzzolente in giro per l’aula, infine imbraccia un coltello e cerca di piantare trenta centimetri di lama nel corpo di un docente, no, la colpa è del merito: lo assicurano i sindacati.
A seguito dell’attentato, infatti, i vertici locali e nazionali di Flc Cgil hanno rivolto un appello al ministero affinché abbandoni “la logica esasperata dell’umiliazione, del merito, della competizione”. Quindi il ragazzo di Abbiategrasso non è né uno spostato né un cane sciolto né tampoco un tipo un po’ stronzo, come capita a una certa percentuale di popolazione distribuita su tutte le fasce d’età. No, il suo è stato un gesto dimostrativo a favore dell’inclusione, del confronto fra generazioni, della valorizzazione dei saperi di tutti gli studenti. Fra un po’ scopriremo che l’accoltellatore ha urlato: “La scuola è grande e don Milani è il suo profeta!”.