Sono 25 anni che Michele Serra scrive ogni giorno tranne la domenica un corsivo di 22 righe su Repubblica sotto il titolo “L’amaca”. Stefano Bartezzaghi lo ha descritto come meglio non si potrebbe: «…la sua fatica di scrivere “tutti i santi giorni” (come recita il titolo di una raccolta precedente) è un corrispettivo dell’abitudine di porsi un dilemma al giorno. Fra lo sfidare il senso comune — per non essere insulso — e assecondarlo — per non farsi odiare — agitare il paradosso fa di volta in volta ridere, pensare, stupire e consente di evitare ogni sospetto di malafede. Cultore di dialettica e, nel senso buono, retorica, dalla satira Serra si è spostato su un territorio più distaccato. Dichiara di aver avuto “pochi cedimenti allo sconforto”, tiene a bada la rassegnazione — grande tentatrice — ma il mestiere deve avergli comunque suggerito una rinuncia: quella a rendere senso comune e condiviso la sua stessa vocazione al paradosso. Il lettore gli dà ragione, l’Italia non gli dà molte soddisfazioni. Dalla sua amaca pare allora di sentirlo proporre, con il tono sommesso che si confà a un’utopia gentile, la soluzione più saggia, o almeno decorosa: il compromesso stoico ».
Scrivere ogni giorno è una condanna simile al carcere, ma diciamo che ci sono lavori più faticosi, in rapporto allo stipendio, certo. Poi c’è l’onestà di Serra, che cambia, e abbandona amici e porti, amori e legami, in 25 anni ci sta. Due soli esempi, Grillo, di cui era autore dei testi, e Bersani, di cui era sodale. Col tempo ne ha preso le distanze. Ma per quel che mi riguarda, l’ammirazione per Serra finisce quando vedo una sua moltiplicazione, scrive libri (Gli sdraiati) e fa l’autore di tramissioni tv, per Fazio, per Celentano, per Morandi. Ecco, non sarà ingordigia ma accumulazione, allargarsi, coazione a ripetere, chiamiamola come volete. Perché pochi riescono ad arare magari ogni santo giorno il loro piccolo campetto, e tanti altri vogliono invece distese sterminate da arare magari con mezzi tecnologici sempre più nuovi?