Per parlare di Israele e di Hamas sarebbe necessario non dico conoscere la storia, ma almeno la cronaca.
Passi che non si sappia che gli ebrei abitano quella terra da sempre, passi che non si sappia che cosa sia successo nel 1948, quando le Nazioni Unite hanno proclamato la nascita di due nazioni, Israele e Palestina, e gli arabi il giorno stesso hanno detto di no alla Palestina e attaccato militarmente Israele.
Passi che non si sappia che cosa sia successo nel 1966 e nel 1973, passi che non si abbia nessuna idea su chi ha fatto saltare gli accordi di pace di Oslo e mille altre cose, compresi gli attentati suicidi, i missili e l’eterodirezione da Bagdad, da Damasco, da Riad, da Doha e da Teheran della “causa palestinese” che per i suoi burattinai esteri però non è mai stata tale, ma soltanto uno strumento di propaganda e di mobilitazione per giustificare l’unico vero obiettivo: la cancellazione di Israele, della cosiddetta “entità sionista”, dalle cartine geografiche e l’uccisione di tutti gli ebrei
Hamas, nel suo statuto, profetizza con le parole di Maometto che il giorno del giudizio arriverà solo quando finalmente i musulmani uccideranno tutti gli ebrei e quando l’ultimo ebreo «si nasconderà dietro una pietra o un albero e la pietra e l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo!».
Ma veniamo, appunto, alla cronaca, visto che la Storia è materia troppo complicata da sintetizzare sulle storie di Instagram degli improvvisati influencer di geopolitica.
La cronaca dice che Gaza è un carcere a cielo aperto perché così ha voluto Hamas, una dittatura teocratica e reazionaria che ha fatto da modello all’Isis. Israele ha occupato la Striscia dopo la guerra con i paesi arabi del 1966, poi si è ritirato unilateralmente nel 2005 trascinando a forza i coloni israeliani e lasciando case, fattorie, fabbriche e infrastrutture che Hamas ha subito distrutto, condannando i palestinesi a contare solo sugli aiuti umanitari. Hamas ha occupato militarmente Gaza cacciando dalla Striscia l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) al termine di una guerra civile che ha lasciato centinaia di cadaveri palestinesi per strada.
Hamas aveva vinto le elezioni legislative del 2006, ma agli influencer che hanno dato un’occhiata a Wikipedia è sfuggito che l’Anp si è data una forma istituzionale semipresidenziale e quindi che Hamas non aveva eletto il Presidente. Nonostante ciò, Hamas ha creato a Gaza un suo apparato di sicurezza illegale in contrapposizione a quello legittimo con sede a Ramallah, e ha scatenato la guerra contro il presidente palestinese Abu Mazen.
La guerra civile palestinese è finita, si fa per dire, con Hamas da una parte a Gaza e con la vecchia organizzazione politica di Yasser Arafat, Fatah, alla guida della Cisgiordania.
Durante la guerra civile centinaia di palestinesi sono stati uccisi da altri palestinesi, non ci sono mai più state elezioni e la posta in gioco, oltre al potere, è sempre stata ed è ancora oggi la stessa: la continuazione o il boicottaggio del processo di pace con Israele e la comunità internazionale.
Ai tempi della guerra civile palestinese, il rappresentante dei palestinesi Abu Mazen era favorevole, Hamas no, perché l’obiettivo dell’organizzazione islamista allora come oggi non è mai stato quello della convivenza con lo Stato ebraico, ma quello di buttare a mare Israele e di uccidere tutti gli ebrei andandoli a cercare fin dietro gli alberi.
Il governo di Israele (non Israele) ha le sue responsabilità sulla situazione attuale perché negli ultimi anni si è radicalizzato parecchio, ha spaccato in due il paese che manifesta da quasi un anno tutte le settimane contro le politiche di Bibi Netanyahu e dei suoi fanatici sostenitori e, soprattutto, perché ha fomentato inutili tensioni in Cisgiordania, dove in teoria ci sarebbero i palestinesi che hanno rinunciato alla distruzione dello Stato ebraico, ignorando così i pericoli che sarebbero potuti arrivare da Gaza.
Questo va detto con chiarezza: all’ultimo governo Netanyahu ha fatto molto comodo il radicalismo teocratico di Hamas, tanto da averlo usato come spauracchio rispetto a possibili passi avanti sulla questione dello Stato palestinese, e anche come leva elettorale per unire i partiti religiosi e radicali in modo da restare ancora al potere e provare a salvare il premier dai suoi personali guai giudiziari.
Un calcolo cinico e tragico che però non cambia la questione principale: Hamas non rappresenta la causa palestinese, intesa come l’agognata nascita di un vero Stato palestinese di fianco a Israele, anzi è la causa principale delle sofferenze dei palestinesi e della carneficina in Terrasanta.
Senza Hamas e senza i suoi sponsor iraniani, qatarini e libanesi – sunniti e sciiti uniti dall’odio antiebraico e dal desiderio di strappare la guida del mondo islamico all’Arabia Saudita – probabilmente in Israele ci sarebbe un governo meno radicale e i palestinesi avrebbero già conquistato lo Stato che gli era stato riconosciuto nel 1948 e che i paesi arabi, per le stesse ragioni invocate da Hamas, hanno rifiutato.
L’altra questione è quella degli Accordi di Abramo (l’ipotesi di pace tra i paesi arabi e Israele), al momento sospesi a causa dell’attacco militare di Hamas e della reazione bellica di Israele. L’Iran e Hamas non vogliono la pace in Medioriente, non hanno a cuore gli interessi dei palestinesi, mentre uno degli obiettivi del pogrom del 7 ottobre è stato quello di fermare lo storico riconoscimento di Israele da parte dell’Arabia Saudita. Questo è l’interesse contingente di Iran e di Hamas, assieme a quelli esistenziali di mobilitare il mondo islamico in una caccia globale agli ebrei e di delegittimare i sauditi come traditori dell’Islam.
Gli influencer di Instagram, e gli allocchi che difendono le ragioni di Hamas confondendole con quelle dei palestinesi, non lo sanno o non se ne rendono conto ma in realtà con le oscene e maldestre “contestualizzazioni” della caccia all’ebreo del 7 ottobre si stanno impegnando affinché la mattanza di ebrei e di palestinesi continui in eterno e la possibilità di giungere a una pace si allontani definitivamente.