Dopo averlo fatto con la difesa dei vaccini e con la difesa dell’Ucraina, diversi talk-show italiani, negli ultimi giorni, sono riusciti a trasformare in una rissa da bar anche la difesa di Israele, mossi dalla necessità di “contestualizzare” quanto accaduto una settimana fa tra le strade di un paese colpito al cuore dalla furia cieca di un gruppo di terroristi islamici di nome Hamas. La necessità di “contestualizzare” è la strada più veloce e più semplice per provare a distogliere l’attenzione dalla strage di un gruppo di terroristi islamici di nome Hamas (lo abbiamo già detto?) e per provare a squadernare una tesi che negli ultimi quindici mesi abbiamo sentito spesso pronunciare dai cavalli di Troia del putinismo. Tesi così riassumibile: suvvia, non raccontiamoci fesserie, la colpa è tutta dell’occidente. Seguire il filo conduttore delle colpe degli atti efferati da attribuire all’occidente è un astuto artificio retorico utilizzato da tutti coloro che cercano di minimizzare un fatto mostruoso. E dall’Ucraina a Israele la tesi è sempre la stessa: quello che fanno i nemici delle due democrazie dipende esclusivamente da ciò che le due democrazie filoatlantiste hanno fatto negli ultimi anni mentre provocavano chi oggi non fa altro che reagire ai soprusi subiti.
Il professor Angelo d’Orsi, nuovo beniamino delle tv, grande interprete di questa teoria, ha perfettamente inquadrato il punto con una sua frase sul tema divenuta celebre: “Chi semina vento raccoglie tempesta, gli israeliani hanno sempre tenuto i palestinesi in schiavitù”. La strategia della contestualizzazione aiuta a ingrossare l’industria del senso di colpa dell’occidente ma è una strategia che meriterebbe di essere smascherata da tutti coloro che si trovano a doversi confrontare con tutti quei simpatici mascalzoni che ragionano sulla piattaforma delle “reazioni” solo per evitare di parlare della gravità delle “azioni”.
Un piccolo ripasso potrebbe essere utile. Potrebbe essere utile ricordare, per esempio, che il popolo ucraino così come quello ebraico viene odiato dai propri vicini non per quello che avrebbe fatto loro, ma per quello che i vicini provano nei suoi confronti: il desiderio di eliminare un’oasi di libertà la cui presenza rende difficile la vita ai propri vicini di casa disinteressati alla difesa della libertà. I russi uccidono gli ucraini in quanto ucraini. I terroristi uccidono gli israeliani in quanto ebrei. I fondamentalisti uccidono gli occidentali in quanto occidentali. Così come gli integralisti uccidono i cristiani in quanto cristiani.
Giocare con il senso di colpa dell’occidente serve a sminuire l’orrore, a contestualizzarlo, dunque a circoscriverlo, dunque a minimizzarlo. Consente di non dover ragionare su cosa c’è dietro l’odio omicida dei nemici della libertà. E permette di delegittimare ogni tentativo di azione difensiva da parte dei paesi oppressi dai regimi totalitari. Se ti concentri sulla reazione hai gioco facile a dire che ogni reazione alla reazione è come un fallo di frustrazione dettato dalla rabbia. E se scegli di usare la piattaforma della reazione hai gioco facile a dire che i paesi occidentali, se reagiscono in modo deciso, non proporzionato, non faranno altro che contribuire ad aumentare la spirale della violenza. E se scegli infine di usare questa piattaforma, avrai gioco facile a dire che la difesa non è sempre legittima, “deve essere proporzionata”, e che se non verrà considerata come tale, se sarà cioè “esagerata”, risulterà evidente che chi non vuole la pace non è il terrorista che attacca ma è il democratico che si difende.
In questa logica, l’unica pace possibile – vale per l’Ucraina e vale per Israele – è quella che segna la resa del bastione dell’occidente e l’unica pace sensata è quella in cui l’occidente concede ai nemici dell’occidente esattamente quello che i nemici dell’occidente rivendicano.
Alimentare il senso di colpa dell’occidente, di fronte alle efferatezze dei nemici dell’occidente, serve a questo. Serve a offrire carburante ai sostenitori dell’equidistanza, serve a regalare alibi agli aggressori dell’Ucraina, a regalare contestualizzazioni ai nemici di Israele, serve a trasformare le azioni di aggressione in operazioni legate a una reazione.
Quando le cose, invece, sono piuttosto semplici. E piuttosto drammatiche. Da un lato vi è un’azione deliberata perfettamente coerente con l’ideologia nazionalista imperialista mascherata da Putin in Grande Guerra Patriottica, che punta a uccidere gli ucraini per il semplice fatto di essere ucraini. Dall’altro lato vi è un’azione deliberata da parte dei terroristi islamici che, in coerenza con un’interpretazione integralista dei versetti del Corano, punta a uccidere gli ebrei in quanto ebrei, in quanto infedeli. In entrambi i casi il motore degli orrori non è la volontà di reagire ma è la volontà di affermare un’ideologia tossica, omicida, terroristica. Le storie di Ucraina e Israele si intersecano per mille ragioni diverse.
L’Ucraina e Israele, come ha detto il presidente Zelensky, combattono contro lo stesso male, contro lo stesso orrore, con l’unica differenza che in medio oriente c’è un’organizzazione terroristica che ha attaccato Israele, e nell’est Europa c’è uno stato terrorista che ha attaccato l’Ucraina. Le storie sono simili per queste ragioni, per le ragioni che hanno Israele e Ucraina nel difendersi da un nemico efferato, ma sono simili anche per un’altra ragione, che ha a che fare con la retorica utilizzata dai professionisti dell’equidistanza, che guidati da un inossidabile odio antiamericano e antioccidentale contribuiscono a creare un contesto tossico in cui le retoriche si intersecano, i personaggi dei talk-show diventano interscambiabili e le ragioni per cui l’Ucraina e Israele sarebbero in fondo vittime di sé stesse, della loro arroganza, della loro volontà inspiegabile di difendere il proprio diritto a esistere, il proprio diritto a resistere e il proprio diritto a difendersi.