Lo spettro di Pirandello continua ad aleggiare su una Sicilia da cui arriva una notiziola che ci dice tanto sulla scuola italiana. Gli alunni di una classe di un liceo scientifico del messinese si sono visti annullare il conseguimento del diploma e saranno costretti a ripetere l’orale della maturità non a seguito del fatto che una loro docente, membro interno della commissione, abbia inviato loro dei suggerimenti via WhatsApp; bensì in virtù del caso che una loro compagna, non avendo ricevuto i messaggini, si è sentita ingiustamente svantaggiata e ha indotto i genitori a presentare ricorso. E purtroppo queste righe sono troppo brevi per stare a interrogarsi dettagliatamente su quale delle parti in causa sia quella che più si illude della propria follia, come una novella in cui tutti girano la corda pazza: se la docente convinta che il ruolo dell’insegnante coincida con quello del suggeritore impune, se l’alunna convinta di essere vittima di discriminazione per il solo fatto di aver affrontato l’esame in condizioni di regolarità, se i genitori talmente solerti nel rivendicare come diritto insindacabile un vantaggio indebito. Ma di sicuro, in tutto questo, spicca la dissennata ingenuità dell’ufficio scolastico, vulgo provveditorato: la sua commovente convinzione che si possa resettare tutto e ristabilire l’ordine; il suo intimo non voler accettare che casi come questi dimostrano la considerazione in cui tengono la maturità e gli insegnanti e i loro alunni; la sua pervicace dedizione nel continuare a comportarsi come se veramente, veramente, l’esame di stato fosse un esame.