Scuola/ il dirigente che apre il confronto

(20/7/2021) Riprendo un argomento sul quale ho già scritto, in libri e articoli, perchè il fenomeno della giuridicizzazione del vivere civile (noi siamo il paese in cui tutto finisce in Tribunale) riguarda anche la scuola nonostante si sia affermata la vulgata della cd scuola-azienda, bersaglio polemico anzi crociata di tutti i marxisti immaginari che popolano le nostre contrade.

Nell’ufficio del preside si presenta un alunno (o chi volete, un genitore, o un docente, un bidello, un amministrativo, un sindacalista, un amministratore, un estraneo) ed espone un fatto: nella classe x è successo questo e tira in ballo un docente (o chi volete voi). Cosa fa allora il dirigente scolastico che nel mainstream sarebbe pari ormai ad un manager di una multinazionale operante sui mercati internazionali? Ascolta un pochino e poi instaura un confronto convocando nel suo ufficio la controparte.

Se facessero un’indagine sui 6998 dirigenti attualmente in servizio in Italia, il 90% approverebbe tale prassi, il confronto tra l’alunno e il docente (nell’esempio che sto facendo ma, ripeto, il confronto può avvenire tra due docenti, tra genitore e docente, tra due alunni, tra alunno e bidello, ci siamo capiti?). Uno dice al preside una cosa e questi per accertare la veridicità o la verosimiglianza dell’affermazione, instaura un confronto in sua presenza tra chi accusa e chi si difende. Ora è chiaro che le accuse possono andare da stupidaggini tipo “il bidello mi ha rimproverato” a reati quali “il bidello mi ha messo le mani addosso”. Il confronto che il preside instaura tra accusatore e accusato nel suo ufficio è utile, corretto, efficace, doveroso? No, è solo il modo più sbagliato per agire e per capire.

Il modo più funzionale e corretto, lo dico subito, è quello di calmare gli animi e prender tempo. Per capire. Si tratta di ascoltare bene chi accusa, sviscerando quello che dice e come lo dice, annotare esattamente il suo pensiero (non c’è bisogno di fare un verbale e di farlo firmare), cogliere e far emergere eventuali contraddizioni, e poi rassicurarlo che il dirigente approfondirà l’accaduto per valutare le sue conseguenze. Dopo di che accomiaterà l’interlocutore che deve essere ben contento di essere stato attentamente ascoltato. Nel prosieguo il dirigente svolgerà le sue indagini e ricerche, per mettere a fuoco cosa è successo realmente. Parlerà con l’accusato? Forse, alla fine, ma non è detto, perchè tutti sappiamo, solo guardando la tv, che se uno è colpevole non ammetterà subito e volentieri di esserlo, anzi se viene informato, cercherà di nascondere le prove, di inquinare le testimonianze e di rendere disordinato tutto il contesto. Il confronto è sbagliato proprio per questo, perchè se l’accusa è fondata, l’accusato viene subito informato e sarà quindi indotto a confondere le acque, a cercare alleanze, o manovrare subdolamente per confondere tutto. Se non è fondata, invece, mette un innocente in una posizione scomoda e immeritata. Deve ascoltare davanti al dirigente un’accusa falsa e si apre quindi non un confronto pacato ma subito una guerra.

La guerra, che poi forse, a livello inconscio, è quello che vogliono molti dirigenti, perchè godono ad assumere le sembianze di un giudice con la toga che su uno scranno ascolta due parti per decidere chi ha ragione e chi ha torto. Il manager di cui al mainstream corrente si rivela di fatto nella gestione delle risorse umane, oltre che un semplice burocrate intento ad incrementare scartoffie, anche un aspirante magistrato in toga nera e parrucca.

Il confronto va evitato accuratamente, non serve a niente, a nessuna delle tre parti, per le ragioni appena evidenziate, in quanto innesca subito una guerra che ben presto si propagherà oltre l’ufficio del preside e dilagherà nella scuola, creando un bailamme e anche un affollarsi di truppe in ciascuna delle due parti. Anzi delle tre, perchè ben presto si forma una compagine che in Italia ha sempre avuto un ruolo storico, i neutralisti, i nè-nè. Qualsiasi sia il peso specifico dell’accusa, da 1 a 100, il confronto aumenta a dismisura il peso stesso, lo moltiplica perchè il preside si trova ben presto tra due fuochi (anzi tre) e la sua posizione di terzietà è sottoposta a due spinte contrarie che lo lacerano. Non solo. Il confronto è sbagliato perchè, come in un processo, mette sullo stesso piano persone che non lo sono: studenti e professori; genitori e studenti; adulti e giovani; docenti e personale Ata.