Perche’ il dribbling e’ scomparso dal calcio

Ho scritto al forum del prof. Aldo Grasso (Il calcio senza estro che non diverte più):
Prof., visto che abbiamo la stessa età, non rimpiange il calcio dei Meroni, Sivori, Claudio Sala, Garrincha?
Gente che sapeva dribblare. Adesso tutti sono alti forti veloci, si passano la palla e basta. Che noia terribile.
Lazio Inter dopo un tempo era già finita.
Così mi spiego la diminuzione degli spettatori al campo e a casa. E nei luoghi pubblici dove fanno la partita in tv la maggior parte dei commensali non la guarda“. “Ha perfettamente ragione, temo che l’estro non abiti più qui”, ha commentato il professore.

Ma allora cosa e’ successo, cosa sta succedendo se i giovani si annoiano a guardare una partita intera non allo stadio ma in tv, e se il gioco nel mondo ha eliminato l’estro dei dribblomani, di quelli che facevano superiorita’ numerica scartando gli avversari come birilli, in slalom e serpentine che consentivano di tirare a rete oppure di fare l’ultimo passaggio?

Io credo che sia avvenuto questo. Fin quando sino alla fine degli anni sessanta e settanta i ragazzi giocavano sulle strade, in fazzoletti di terra, in campi improvvisati e piccoli, e’ chiaro che dovevano imparare a dribblare, ovvero a controllare la palla in poco spazio per evitare l’avversario. Non potevano buttare la palla avanti e correre perche’ lo spazio non c’era. Ma poi da quando i giovani hanno cominciato a imparare a giocare in campi veri e propri, larghi, lunghi, e’ chiaro che occorreva prima del controllo di palla e del palleggio che fossero atleti capaci di correre a lungo senza stancarsi, rudi e scattanti per colpire di testa e recuperare palla. Una questione strutturale dunque legata al campo di gioco dove si impara. Al contrario del tennis o del basket dove da sempre si gioca sullo stesso luogo di quelle dimensioni esatte, e dove quindi il progresso e’ stato dato dalla velocita’ e potenza dell’esecuzione (sempre piu’ accentuate), nel calcio appreso in un campo lungo 90 metri si sono imposti i podisti, i marcantoni, i mezzofondisti. I Meroni, i Corso, i Causio non nascono piu’, e se nascono non riescono a giocare per 90 minuti ma al massimo per un’ ora.

Prendiamo la grande Inter di Herrera. Se facciamo i conti di quegli undici non avevano tocco di palla Burgnich, Bedin e Guarneri, ma Picchi, Jair, Suarez, Mazzola, Peiro’ e Corso lo avevano. Poi c’era Facchetti che era un mezzofondista che non aveva dribbling ma solo il tiro, di testa o di piedi. Quindi su 11 giocatori ben 7 sapevano ben giocare con la palla nei piedi, e di questi Jair, Mazzola, Peiro’ e Corso eccellevano nel dribbling. 4 su 11. Prendiamo l’Inter di oggi.  Su 11 solo Thuram e Barella sanno dribblare, Lautaro sa girarsi in velocita’, gli altri sanno correre, calciare, passare la palla. In compenso, ma solo perche’ sono cambiate le regole, tutti i portieri ora devono anche saper giocare con i piedi.

Un calcio che non diverte piu’ ha eliminato l’estro, la tecnica, la fantasia, ma favorito potenza, atletismo, agonismo. Forse per questo si spiega il costante calo degli spettatori e la disaffezione dei giovani per il gioco. I giovani o diventano ultras e quindi vanno alla partita come in guerra, oppure scelgono altri sport, individuali.