L’Italia bipopulista festeggia la morte dell’Occidente e le nozze illiberali tra Russia e America

(…) Il lungo lavoro preparatorio per la restaurazione in Europa dell’ordine e delle sovranità precedenti allo scoppio delle guerre novecentesche ha scavato voragini di consenso difficilmente risarcibili sotto i piedi di classi dirigenti che spesso sembrano ottuse, innanzitutto perché disarmate e in balia di opinioni pubbliche convertite al culto del rule of power contro il rule of law.

Per propiziare un rapido risveglio da questo incantesimo, non è ancora abbastanza vicina e percepibile la catastrofe per l’Europa e per gli europei, che però basta alzare gli occhi per vedere incombente e in movimento dai cieli d’Ucraina verso occidente.

Ma ormai siamo anche troppo lontani dall’odiato e disprezzato mainstream atlantista– che ha unito per tre quarti di secolo le élite politiche euro-americane, prima e dopo la caduta del Muro – e dall’efficacia immunitaria del sospetto contro il delirio nazionalista, che oltre a rimanere il rifugio di qualunque canaglia è diventato in Europa il surrogato di ogni speranza tradita e la spada di ogni vendetta desiderata.

Nel panorama europeo, l’Italia è l’unico grande Paese europeo ad arrivare a questo appuntamento con la storia forte di un’invidiabile e tetragona unità. Il bipopulismo italiano, nelle sfide che contano, non si smentisce mai. Rimane sempre compattamente schierato dalla parte sbagliata, che ovviamente ha un affollamento da record e riscuote unanimi successi di critica e di pubblico, dai salotti gruberiani a quelli retequattristi, dagli antifascisti alla Gianfranco Pagliarulo ai neo post-fascisti alla Francesco Giubilei, dai catto-francescani ai catto-tradizionalisti, dai pacifisti yankee go home a quelli America First, da Piero Sansonetti a Maurizio Belpietro, lungo l’intero arco cultural-politico, con poche, sparute e inessenziali eccezioni.

Ieri, per irridere le “vedove di guerra in lutto” dell’Italia che crede che la libertà dell’Ucraina sia la trincea della libertà europea, Il Fatto ha pubblicato una copertina con i volti di due politici, Pina Picierno e Carlo Calenda e di tre opinionisti – Vittorio Emanuele Parsi, Gianni Riotta e Alan Friedman – di cui uno neppure italiano. Avrebbe potuto aggiungere qualche nome e qualche volto, certo, ma non più importanti di questi, né più decisivi negli attuali assetti della politica, dell’informazione e del potere italiano.

Se anziché sfottere quanti si rifiutano di festeggiare il funerale della lealtà e della dignità occidentale dell’America, e l’abbandono dell’Ucraina e dell’Europa, Il Fatto avesse voluto glorificare quanti, sotto l’alto patrocinio di Marco Travaglio, celebrano oggi le nozze mistiche tra il nichilista russo e quello americano, avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta, in un’Italia che non prova alcun imbarazzo per questa abbondanza di traditori e di quaquaraquà, di pontieri con l’orrore dei carnefici e di azzeccagarbugli del diritto dei vincitori, che si limitano a sciacquarsi l’anima con parole di solidarietà a Mattarella dopo gli attacchi degli orchi del Cremlino.