Due aspiranti poeti si sono sfidati a Sanremo 75 e gli orchestrali (Premio Baldazzi) hanno (come mai?) premiato Cristicchi per la musica mentre il premio Sergio Bardotti per il miglior testo è stato vinto da Brunori Sas con il brano L’albero delle noci.
L’albero delle noci di Brunori Sas: cosa ha detto l’autore
Questa canzone celebra la gioia e la rivoluzione che una nuova vita porta con sé, suggerendo come ogni nascita sia al tempo stesso una rinascita. “Un brano che mi fa il cuore dolce” ha spiegato il cantautore, “e in cui ho cercato con coraggio di cantare la gioia, ma anche l’inquietudine che una nuova nascita porta con sé: l’amore che non chiede niente in cambio, la felicità assurda e a tratti incontenibile, ma anche la paura di poterla perdere ‘sta felicità, il rimpianto per la vita di prima, il tempo che non torna. E poi la terra, le radici, le stagioni, le foglie che vanno e quelle che vengono. E forse su tutto l’altalena perenne fra il bimbo che vorrebbe eternamente raccontare (e raccontarsi) favole e l’adulto che sa quanto importante sia ciò che risiede nell’ombra. La linea sottile che passa fra essere genitori e sentirsi ancora figli”.
Anche Simone Cristicchi con la canzone portata a Sanremo 2025 fa un bilancio a partita doppia. A Mara Venier ha dichiarato: io faccio arte pura, e il mio è un dono al pubblico. Avete mai sentito Picasso o Montale dichiarare di fare arte pura? Il brano “Quando sarai piccola”, è una canzone molto personale, scritta come una lettera alla madre, che ha affrontato un grave problema di salute sette anni fa. Il brano esplora il tema dell’invecchiamento dei genitori, o dell’Alzheimer, quando ritornano un po’ bambini, suscitando sentimenti di tenerezza e impotenza. Dopo aver descritto tutte le problematicità della condizione della mamma e quindi i nuovi compiti che un figlio deve sostenere, il ritornello esalta la felicità che ogni nuovo giorno insieme tra madre e figlio comunque apporta:
Eeee… è ancora un altro giorno insieme a te,
Per restituirti tutto quell’amore che mi hai dato.
Eeee… è ancora un altro giorno insieme a te,
Per restituirti tutto, tutto il bene che mi hai dato.
Cristicchi nelle scorse ore ha rivelato di aver presentato la canzone anche cinque anni fa ad Amadeus per il suo primo Festival. Il pezzo non era stato però accettato e Cristicchi ha dichiarato: “Lo ringrazio, nei suoi festival mi sarei sentito a disagio“. Amadeus a mio parere acquista credibilità da questo episodio.
La domanda che tutti dovremmo farci è dunque come mai Cristicchi non ha mai lanciato il brano fuori Sanremo ed ha aspettato per ben 5 anni che qualcuno lo mettesse in gara. La risposta è banale ma spiega bene l’avidità e la furbizia di Cristicchi. Solo nel contesto di Sanremo il suo testo avrebbe ottenuto risalto. Fuori Sanremo, immessa nel circuito normale, la canzone non sarebbe stata considerata, analizzata, ascoltata. Ogni testo per essere valorizzato ha bisogno del suo contesto. Sanremo è da sempre una vetrina per amori e altre banalità popolari, piuttosto è il premio Tenco invece, per esempio, che ospita cantautori e artisti impegnati. Per monetizzare, per avere attenzione, Cristicchi, come è solito fare, ormai si propone solo in gara a Sanremo. Forse perchè se non si autodichiara come “poeta” nel normale mercato discografico resta uno sconosciuto, passa inosservato. Farsi osservare sui media, ovvero attirare l’attenzione, è l’arte degli sbruffoni. Per esempio, il rapper e stilista Kanye West, per aver esibito sul red carpet del Grammy Awards la moglie Bianca Censori tutta nuda, non tenta soltanto di procurarsi attenzione sui media? Ognuno sceglie i mezzi per vendere la merce.
Quando sarai piccola ti aiuterò a capire chi sei, canta oggi Cristicchi, gli si dovrebbe rispondere che quando lui crescerà e la smetterà di ricorrere a questi mezzucci potrà guadagnarsi seria considerazione. Come ha spiegato Bennato, ricordi che sono sole canzonette, non mettetemi alle strette.
La canzone-lettera di Cristicchi andrebbe piuttosto paragonata per gli aspetti formali ad un film del 2020 con Anthony Hopkins e Olivia Colman, The father, del drammaturgo francese Florian Zeller. Tale film racconta di una figlia alle prese con un bizzarro e divertente padre affetto da demenza senile. Non è certo il primo film a trattare le pene della terza età e in particolare i temi della demenza senile, stupisce però lo spettatore che ragionevolmente potrebbe aspettarsi un trattamento pieno di denso sentimentalismo. Come quello che riesce ad imbastire Cristicchi. In questo film c’è il rovesciamento della prospettiva vista in opere simili (come Still Alice), trascinando il pubblico dentro la mente fallace del suo protagonista invece di osservarne le conseguenze e il deterioramento dall’esterno. Non è la figlia che parla del padre, ma è il padre stesso a parlare in prima persona facendo intuire allo spettatore cosa sta succedendo in lui.
L’albero delle noci (testo)
Sono cresciute veloci le foglie sull’albero delle noci
E nei tuoi occhi di mamma adesso splende una piccola fiamma
Io come sempre canguro fra il passato e il futuro
Scrivo canzoni d’amore alla ricerca di un porto sicuro
E come un ragioniere in bilico fra il dare e l’avere
Faccio partite doppie persino col mio cuore
Come si può cadere in basso
Da una distanza siderale
Sono passati veloci questi anni feroci
E nel mio cuore di padre il desiderio adesso è chiuso a chiave
E tu sei stata bravissima all’esame di maturità
Ad unire i puntini fra la mia bocca e la verità
Che tutto questo amore io non lo posso sostenere
Perché conosco benissimo le dimensioni del mio cuore
E posso navigare anche in assenza di stella polare
Vorrei cambiare la voce
Vorrei cantare senza parole
Senza mentire
Per paura di farti soffrire
Vorrei cantarti l’amore, amore
Il buio che arriva nel giorno che muore
Senza cadere
Nella paura di farti male
Sono cresciuto in una terra crudele dove la neve si mescola al miele
E le persone buone portano in testa corone di spine
Ed ho imparato sin da bambino la differenza fra il sangue e il vino
E che una vita si può spezzare per un pezzetto di carne o di pane
E a tutta questa felicità io non mi posso abituare
Perché conosco il sogno del faraone
Le vacche grasse e le vacche magre
E che si può cadere da una distanza siderale
Vorrei cambiare la voce
Vorrei cantare senza parole
Senza mentire
Per paura di farti soffrire
Vorrei cantarti l’amore, amore
La notte che arriva nel giorno che muore
Senza cadere
Nella paura di farti male
Sono cresciuti troppo veloci questi riccioli meravigliosi
E ora ti vedo camminare con la manina in quella di tua madre
E tutta questa felicità forse la posso sostenere
Perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore
E posso navigare sotto una nuova stella polare
Caro Merlo, “Quando sarai piccola ti aiuterò a capire chi sei, / Ti starò vicino come non ho fatto mai. / Rallenteremo il passo / se camminerò veloce” e via cantando, con Simone Cristicchi che celebra a Sanremo la patologia della mamma, l’Alzheimer. Una visione melensa ed edulcorata della malattia: nel testo c’è il termine “giocare” per un disturbo che è pure molto violento e pericoloso. Ma cosa rappresenta questo inno? È una versione peggiorativa del mammismo italiano che sfrutta il dolore per far volare le canzoni (nella classifica)? Dobbiamo rimpiangere Beniamino Gigli e Claudio Villa? Mirella Serri
FRANCESCO MERLO Come hai ragione, cara Serri: la canzonetta di Cristicchi, che musicalmente è poverissima, nell’insieme è una lagna, e non solo perché si inscrive nel vittimismo della lacrimuccia, che è l’ideologia dominante italiana. C’è il vittimismo aggressivo della Meloni, che agisce perché subisce, reagisce perché patisce, e più antico c’è quello piagnucoloso e fiero, che esibisce la vittima e la celebra come eroe del nostro tempo. Ciascuno di noi ha i suoi morti e molti di noi li hanno accompagnati alla morte, ma “venghino signori e pianghino”, in Italia si insegue lo stupor mundi sfoderando cancrene alla gamba e cancri alla stomaco, teste rasate dalla chemioterapia, bende, sedie a rotelle e cecità. Peggio della cantilena di Cristicchi, ci sono solo i laudatori delle parolette di Cristicchi che, senza la loro presunzione, sarebbero insignificanti. Dandosi arie sapute, un po’ Benedetto Croce e un po’ Umberto Eco, spacciano, infatti, “Quando sarai piccola” per lo Stabat Mater o per la poesia capolavoro, “Per lei”, di Giorgio Caproni, o ancora per una delle mille belle canzoni che celebrano le mamme, da Let It Be a Viva la mamma di Bennato. L’Italia è il paese della mamma, della donna matrice che dà forma a tutto, artista naturale, origine del mondo, il Paese di Pergolesi e Rossini, il Paese dove la Vergine Madre è l’altra faccia della Croce, della Santa “Madre” Chiesa, la natalità/maternità appunto che prevale sul martirio. In nome e in difesa di questa tradizione, dedichiamo a Carlo Conti e a tutta la corte sanremese l’incipit della Ballata delle madri di Pasolini:”Mi domando che madri avete avuto. Se ora vi vedessero al lavoro in un mondo a loro sconosciuto, presi in un giro mai compiuto d’esperienze così diverse dalle loro, che sguardo avrebbero negli occhi”. Ovviamente si può tentare una canzone anche sull’Alzheimer che (forse) verrà alla mamma. Nessuno, in nessun paese del mondo, ci aveva mai provato, Cristicchi sì. È un merito? Non lo so. Il risultato è una lagna, davvero degna di questo Sanremo, che è stato il peggiore di sempre.