C’è qualcuno che abbia mai immaginato nella sua vita che l’America sarebbe diventata avversario dell’Europa? Certo che no, così come nessuno aveva capito che stava per cadere il Muro di Berlino prima di quel fatidico 9 novembre 1989. Allora, dal momento che succedono cose nel mondo che nessuno riesce più a prevedere, compresa l’ascesa di Meloni dal 2% del 2013 al 26% di consensi nel 2022, conquistando 6 milioni di elettori in soli tre anni, una sinistra italiana (ma non solo) che pensa di non vincere più perchè non è stata abbastanza di sinistra è fuori del mondo. Eppure è quello che vediamo in Italia, in piena stagione bipopulista con una manovra spregiudicata il Pd riuscì con primarie aperte a far diventare segretaria Schlein che Bonaccini aveva sconfitto quando avevano votato solo gli iscritti. Con la conseguenza che il pd si è messo sulla scia dei populisti per arginarli, imitarli, moderarli, provocando buchi terribili nel bilancio dello Stato con misure populiste come il Superbonus. Saltando all’oggi, il ritorno al potere di Trump negli Usa ha creato il caos nell’ordine mondiale, e l’unica spiegazione su come sia potuto succedere che i soliti noti sanno dare è che Biden e i democratici sono stati poco di sinistra.
Ma ora appare una novità di grande impatto, ovvero si comincia a vedere come Trump sia appoggiato non soltanto dai forgotten men, dall’elettorato bianco rurale e periferico, e dai miliardari che sperano con lui di fare più soldi, ma anche abbia affascinato una generazione giovane e digitale. Secondo Federico Rampini l’uomo che aveva previsto quel che sarebbe successo in America si chiama Martin Gurri, ha 75 anni, e lo aveva scritto nel suo saggio «The Revolt of the Public», che dovette auto-pubblicarsi nel 2014 non avendo trovato un editore.
Gurri, che lavorava alla Cia e analizzava l’evoluzione dei media, aveva capito il nuovo clima anti-woke tra i giovani della Silicon Valley. Essi vivono in questo momento una stagione «rivoluzionaria», non molto diversa da altre stagioni di contestazione giovanile. Solo che in passato i movimenti giovanili erano per lo più di sinistra e si ribellavano contro un establishment conservatore, mentre la rivoluzione in corso prende di mira un establishment di sinistra e usa Trump per abbatterne l’egemonia. Nel saggio «The Revolt of the Public» di Gurri già nel 2014 c’erano i temi che sono diventati di dominio comune: un intreccio fra le dinamiche dei media moderni, la sfiducia nelle istituzioni, l’ascesa del populismo. Lui fu tra i primi a spiegare come l’era digitale ha trasformato il discorso pubblico, eroso l’autorità tradizionale e favorito riallineamenti politici.
Ha misurato, sempre lavorando nella Cia, il cambiamento sismico portato da Internet, che ha trasformato un’era di scarsità di informazioni in una di abbondanza travolgente. Questo «tsunami digitale», come lo definisce Gurri, ha sconvolto le gerarchie tradizionali e ha dato potere agli individui per sfidare le autorità consolidate. Gurri sostiene che questa rivoluzione dell’informazione ha creato un pubblico frammentato, altamente scettico nei confronti delle élite e delle istituzioni. La democratizzazione dell’informazione ha permesso alle persone di esaminare più da vicino le figure di autorità, ma ha anche generato caos.
Le istituzioni che una volta controllavano le narrazioni—come governi, media tradizionali e grandi aziende—hanno faticato ad adattarsi a questa nuova realtà, perdendo credibilità nel processo. Questa sfiducia ha creato terreno fertile per leader populisti che prosperano in ambienti mediatici decentralizzati e caotici.
Gurri nel 2024 ha visto Trump adatto a navigare il paesaggio mediatico moderno. Insomma, è proprio l’immagine di Trump come figura dirompente e anti-establishment che induce a pensare che le élite non sono riuscite ad adattarsi al nuovo ecosistema dell’informazione.
Per Gurri, Trump rappresenta un «agente del caos» capace di sfidare il potere istituzionale radicato. La sua abilità nel dominare le narrazioni digitali e resistere alle critiche incessanti dimostra una padronanza dell’ambiente mediatico frammentato.
Insomma, viviamo in un paesaggio mediatico moderno dove tanti agenti del caos si sono adattati meglio e la mia impressione, che è anche però terrore, resta quella che a sinistra si creda che convenga far un passo in più, diventare oltre che populisti anche agenti del caos. Basti pensare alle parabole non solo di tanti estremisti di sinistra che dicono le stesse cose dei fascisti e nazisti, ma anche a tutti quelli che Goffredo Buccini ha chiamato trumpiani di sinistra, quel mondo, da Travaglio in su, da Santoro in giù, che da anticapitalisti son diventati populisti e ora si trovano a voler consegnare l’Ucraina a Putin considerato non un aggressore ma un nuovo Lenin in un ordine mondiale ridisegnato. Sono tutti quelli che odiano così tanto l’Occidente da amare Trump perchè lo punisce. Trump ai loro occhi è diventato il nuovo Ho Chi Minh