Cosa sta succedendo alla democrazia americana? È questa la domanda che molti si stanno facendo nelle ultime settimane.
Secondo Emmanuel Todd, autore del libro «La sconfitta dell’Occidente» in cui erano previsti alcuni degli eventi odierni, le democrazie avanzate e, in particolare, gli Stati Uniti, sono preda di una deriva nichilista intesa come «la tendenza a distruggere la nozione stessa di verità e a vietare qualsiasi descrizione ragionevole del mondo». È questa la ragione di fondo che rende le democrazie incapaci di agire (nel caso dell’Europa) o di agire in modo coerente con la realtà (nel caso degli Stati Uniti).
L’analisi di Todd aiuta a comprendere ciò che sta accadendo negli USA, la principale democrazia del mondo. Dove si vedono i primi effetti di una convergenza che sembra sfuggire ad ogni logica.
Da un lato, l’inattesa alleanza tra il presidente rieletto e i magnati delle nuove tecnologie — non solo Elon Musk, ma anche Jeff Bezos, Google, Mark Zuckerberg, Peter Thiel e altri — segna l’evoluzione del populismo emerso dopo la crisi del 2008. Il principio liberista viene ora applicato alla sfera tecnologica, coinvolgendo settori chiave come le ricerche nel campo dell’intelligenza artificiale, biomedico e spaziale. Tutto ciò nel quadro di una visione messianica, secondo cui la combinazione tra libertà individuale e tecnologia può aprire le porte del futuro, al di là di qualsiasi regolamentazione.
Dall’altro lato, il richiamo alla religione cerca di colmare il vuoto valoriale che caratterizza le società avanzate. Tuttavia, la religione a cui anche Trump si richiama non è quella della cultura del lavoro, della disciplina di sé e della solidarietà che ha reso grande l’Occidente. Piuttosto, si tratta di una religione consolatoria e classista, che attribuisce un significato apparente a ciò che in realtà ne è privo. L’attuale amministrazione fa infatti riferimento alla cosiddetta «teologia della prosperità» (derivata dalle chiese evangeliche che hanno moltissimi proseliti nei ceti popolari) secondo cui Dio vuole che i suoi fedeli siano ricchi economicamente, sani fisicamente e felici nella vita privata. Una visione che attribuisce un significato religioso all’individualismo (i ricchi sono benedetti da Dio), alla ricerca del benessere (la prosperità è il premio della fede) e persino alle disuguaglianze sociali (la povertà è il segno di una fede insufficiente). La plausibilità di questo richiamo risiede nel fatto che una società svuotata di valori condivisi e di normatività morale genera problemi crescenti in termini di integrazione sociale e motivazione individuale.
L’incontro tra liberalizzazione digitale e teologia della prosperità diventa così la nuova bussola politica, che apparentemente risolve il problema del nichilismo, ma in realtà lo approfondisce. A dominare sembra essere il principio di un interesse del tutto sganciato da ogni criterio di valore e di rispetto delle istituzioni. E che cosa comporta questa visione del mondo lo si è già visto nell’abbandono del fact-checking in campo digitale, che espone i media all’hate speech e alle fake news, ma anche nel modo in cui la nuova amministrazione americana sta affrontando questioni cruciali come la pace in Ucraina o in Israele.
Ci troviamo di fronte a un’evoluzione del populismo degli ultimi dieci anni: nasce il «tecnopopulismo», caratterizzato da una visione libertaria ma non necessariamente democratica. Oltre a combattere il politicamente corretto e la cancel culture nel quadro di una difesa dei valori occidentali — come sostenuto dal movimento MAGA creato da Steve Bannon —, il tecnopopulismo mira a liberare gli «spiriti animali» (come li chiamava J.M. Keynes) considerati il vero fulcro della realizzazione di questi valori tradizionali di matrice religiosa, combinandoli con una gestione tecnologica del consenso sociale. Ci troviamo di fronte a una sperimentazione sociale in cui la libertà di parola, mediata dagli apparati digitali, rischia di essere paradossalmente usata contro la società aperta. Si accarezza l’idea di un nuovo ordine in cui l’efficientizzazione resa possibile dalla razionalizzazione digitale conta più della democrazia, e dove l’uso politico di una religione strumentale, impiegata come fondale retorico per legittimare un potere sempre più centralizzato, si intreccia con nuove forme di sorveglianza sociale e identificazione del nemico interno ed esterno.
Il tecnopopulismo prospetta una nuova sintesi destinata ad accentrare ulteriormente il potere, erodere le istituzioni democratiche e aggravare le divisioni sociali. Con tutti gli interrogativi che ne derivano sul futuro della democrazia e delle relazioni internazionali.