I pacifisti profeti disarmati del tutto e subito

Se guardiamo agli atteggiamenti al momento prevalenti fra gli italiani e li confrontiamo con quelli di francesi, britannici, tedeschi, possiamo immaginare il seguente scenario: gli altri Paesi europei, per paura della Russia, mettono in moto un insieme di iniziative, di rafforzamento della propria forza militare e di crescente coordinamento fra loro in ambito Nato, tale da generare nel giro di qualche anno, un sistema di difesa europeo. Col tempo ciò forse favorirebbe, fra gli stessi Paesi, una maggiore integrazione politica. L’Italia però sceglie un’altra strada, rompe con gli altri europei sul tema strategico del riarmo e diventa una zattera alla deriva nel Mediterraneo alla mercé dei russi nonché di qualunque altro prepotente voglia imporre i propri diktat a coloro che si atteggiano a «profeti disarmati» (ciò che diversi nostri connazionali vorrebbero che noi fossimo). Perché fino a non molto tempo addietro (prima che l’imperialismo russo riprendesse vigore e prima del disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa) era lecito essere scettici sulla possibilità che l’Europa facesse, ad li là e oltre l’unificazione monetaria, passi concreti in direzione dell’unificazione politica?

Perché le unificazioni politiche non avvengono per effetto della sola integrazione economica. Le unificazioni politiche avvengono, se avvengono, nell’uno o nell’altro di due modi: o perché un condottiero, armi alla mano, conquista Stati in precedenza indipendenti e li unifica sotto il suo comando o perché, di fronte a una minaccia esterna, un insieme di Stati stabilisce un coordinamento stretto fra le rispettive forze militari al fine di difendersi dalla suddetta minaccia. Il che può innescare (può: non c’è mai nulla di predeterminato) un processo in grado, prima o poi, di avvicinare l’integrazione politica. Adesso la minaccia c’è e ciò spiega perché l’Europa stia assumendo atteggiamenti diversi dal passato sul tema della difesa. Essere «europeisti» in questa fase significa tenersi agganciati al resto dell’Europa, condividerne gli sforzi tesi ad accrescere le chances europee di sviluppare una capacità deterrente contro le minacce esterne.

Cosa replicano coloro che si oppongono al riarmo europeo? Le obiezioni sono di vario tipo. La prima è che non ci sarebbe alcuna minaccia (è una invenzione di chi vuole fare affari vendendo armi).

Se non fosse stato per quel «depravato» di Zelensky, gli ucraini si sarebbero arresi, non si sarebbe versato sangue e saremmo tutti felici e contenti. L’Ucraina sarebbe sotto il giogo russo ma non si può pretendere tutto dalla vita e comunque sotto il giogo ci sarebbero loro, mica noi. Il fatto che finlandesi e svedesi siano corsi a ripararsi sotto l’ombrello della Nato va interpretato, plausibilmente, come l’effetto di una forma di isteria di massa e non come il lucido tentativo di difendersi dai russi. Minaccia, quale minaccia?

Un altro argomento è quello di chi ammette la possibile esistenza del pericolo ma propone di porgere l’altra guancia.

È la posizione di chi apprezza la «pace ingiusta» (meglio subire una pace ingiusta che combattere per difendere la propria casa). Niente più legittima difesa: se qualcuno entra a casa tua e ammazza un tuo famigliare, devi chinare il capo e non combatterlo (accettare la «pace ingiusta»). Si può immaginare qualcosa di più innaturale, di più antiumano? I partigiani italiani fecero forse male a combattere l’occupazione nazista? Avrebbero dovuto subire la pace ingiusta? Col senno del poi si sa che fecero una scelta vincente. Ma nessuno di loro poteva averne la certezza nel momento in cui decise di prendere le armi.

Un altro argomento è che gli ottant’anni di pace di cui abbiamo goduto in Europa non sono stati il frutto dell’esistenza di un potere deterrente (quello americano) che ha garantito la nostra sicurezza.

Quegli ottant’anni di pace sono stati invece — ad ascoltare certe voci — il frutto della mansuetudine europea, del saggio investimento in diritti e welfare a cui gli europei si sono dedicati.

È una tesi che fa presa sui tanti che, per decenni, si sono abituati a pensare alla sicurezza come a una condizione naturale anziché come al prodotto di equilibri e rapporti di forza a lungo congelati ma prima o poi destinati, come tutto nella storia, a mutare. È comprensibile che l’argomento piaccia nonostante la sua manifesta infondatezza: se uno si è abituato a credere che la sua sicurezza sia (come l’aria) un bene di cui si può godere gratis, è più che contrariato se gli si dice che, d’ora in poi, bisognerà pagare per ottenerla.

L’ultimo argomento è il più insidioso perché viene proposto in nome dell’europeismo. Lo propugnano coloro che si presentano come europeisti di ferro.

Il cosiddetto riarmo europeo, dicono, è un inganno: ciò che si propone è il riarmo dei singoli Paesi europei. Invece serve creare, qui e ora, «l’esercito europeo».

Anziché un primo necessario passo, il rafforzamento degli eserciti europei viene presentato come l’antitesi della difesa europea. A sentire certuni bisogna fare immediatamente, senza perdere tempo, l’unificazione politica e militare dell’Europa. Ma poiché la storia non fa salti, assumere questa posizione significa scegliere di non fare niente: lasciare l’Europa inerme, indifesa.

Chi dice di volere tutto e subito, in realtà vuole l’inazione, la passività.

In democrazia non si fa niente se le opinioni pubbliche non sono d’accordo. Il pacifismo integrale sbandierato da molti è in sintonia con l’orientamento dei tanti italiani che credono che sia sufficiente volere essere lasciati in pace perché ciò avvenga. Disposti a colpevolizzare l’aggredito di oggi nonché i potenziali aggrediti di domani negando loro il diritto di difendersi.

Gli aggressori ringraziano. Forse, nel giro di qualche anno, e al prezzo di molti sforzi, nascerà la difesa europea. Si spera che gli italiani, in quel momento, non siano impegnati altrove.