La politica dei sentimenti, ovvero perchè non esistono più programmi

Beniamino Placido, il grande intellettuale che è scomparso ormai nel 2010, ci ha lasciato una lezione politica sempre valida e attuale. Diceva Placido che su una cosa sola il vecchio Partito d’Azione ha avuto ragione: la politica non si fa con i sentimenti, così come la poesia non si fa con i sentimenti ma con le parole. La lezione di questo grande studioso, giornalista, esperto di storia americana, è oggi attualissima, dal momento che la politica, a qualsiasi latitudine e senza alcuna distinzione, anche per opera dell’avvento dei populismi di destra e sinistra, si fa illustrando e proponendo soltanto sentimenti. Perchè è un sentimento la paura, lo è la speranza, lo sono i buoni propositi, la protesta, i valori, insomma nessuna idea o proposta ci arriva più dal ceto politico che non sa pensare più programmi o piani per affrontare i problemi. Si pensi al moralismo che ormai acomuna quasi tutti gli schieramenti politici. E’ la tendenza a dare prevalente o esclusiva importanza a considerazioni morali, spesso astratte e preconcette (definite in blocco Valori), rispetto ad ogni altro interesse umano. Ma va oltre la politica se, come ha segnalato Antonio Gurrado, ” le Poste irlandesi hanno lanciato una campagna che mira, fa fede lo slogan, a rendere il denaro più umano: il sottinteso è che il denaro sia malvagio di per sé e incattivisca le persone, costringendo chi ne ha tanto ad angariare chi ne ha poco”.  È una singolare pretesa, conclude Gurrado, “considerato che nulla è più umano del denaro. Non ho mai visto un’anatra pagare in contanti né un canguro lanciarsi in spericolate operazioni finanziarie, i cactus non impilano monete e il quarzo non dispone di carte di credito.” Il moralismo dunque si espande. Esso si basa su un presupposto che è il seguente: sia i cattolici che i comunisti sanno a priori in ogni occasione quale sia il fine buono e giusto da perseguire. Se uno sa la meta dove deve dirigersi è chiaro che troverà la strada per arrivarvi.

Questi fini dai conservatori sono declinati come conformistica difesa dei principî della morale comune (per es. adesso Trump & Meloni fanno la guerra alla politica woke), dai progressisti invece accentuando il multiculturalismo e l’evolversi dei diritti umani in quanto diritti storici e quindi mutevoli. I politici di oggi sono dunque moralisti perchè avendo in testa quali sono i fini giusti da perseguire, di conseguenza decifrano la realtà soltanto attraverso le lenti della propria morale. Inoltre la politica per acquisire consenso cerca costantemente di capire quali siano i sentimenti della popolazione, e poi vi soffia sopra per alimentare il fuoco, avendo superato così lo storico approccio ideologico che era basato su pregiudizi, preconcetti, sistemi di idee, norme di orientamento culturale e di condotta. Le grandi migrazioni sono, per esempio, un tema che ormai viene affrontato solo attraverso approcci moralistici contrastanti, che hanno a che fare con la repulsione per il diverso oppure con l’apertura e l’accoglienza verso gli altri. Oppure si pensi alla vera ossessione di un populista come Giuseppi Conte per le tasche degli italiani. Non c’è nessuna sua dichiarazione quotidiana che non vi faccia riferimento, dal momento che i sondaggisti gli suggeriscono, a torto o a ragione, che gli italiani pensano solo al proprio portafoglio e non sono interessati a niente altro. “Più spese militari e più gas dagli Stati Uniti, il tutto a caro prezzo per le tasche degli italiani”, esclama per esempio Conte dopo la visita di Meloni a Trump.

Infine facciamo un esempio attuale che riguarda la costruzione dell’unità europea, un obiettivo razionale che però appare in netto contrasto con i sentimenti nazionalistici ed egoistici di ciascuna nazione.

(Maurizio Ferrera) Ciò che serve è un cambio di mentalità. Non si tratta, si badi bene, di chiedere ai popoli nazionali di sacrificarsi per gli altri. Convincere la Germania a fare debito comune durante la pandemia ha richiesto uno sforzo eroico. E oggi la sola menzione di possibili vittime tra i soldati di un futuro esercito europeo fa precipitare verso lo zero il sostegno popolare alla difesa comune. Ciò di cui le élite devono convincersi è che la tenuta della Ue come entità politica è condizione essenziale per la stabilità e gli interessi di ciascun Paese. È chiaro che Spagna. Portogallo e Irlanda non corrono il rischio di essere invasi. Ma un attacco della Russia al fronte Est della Ue colpirebbe in altri modi anche Dublino, Madrid e Lisbona (comunicazioni, energia, reti informatiche e così via). Dividere gli avversari è la tattica preferita in ogni conflitto di potere, lo sanno bene sia Putin sia Trump. Non dobbiamo cadere in questa trappola e ricordare invece la massima che ispirò i Padri Fondatori: l’unità europea «conviene» a tutti. In passato, la convenienza risiedeva essenzialmente nella maggiore crescita e prosperità. Oggi riguarda anche un bene pubblico più fondamentale: la sicurezza, appunto.